Dodicesima Puntata

 

Spesso Israele è stato definito come Paese democratico, libero. Si può definire democrazia questo tipo di Stato? Per prima cosa bisogna vedere cosa s'intenda per democrazia. Spesso purtroppo si definisce democrazia il semplice arbitrio della maggioranza, o poco più. Naturalmente questo concetto di democrazia è inaccettabile. Se si applicasse, infatti, ad una maggioranza di degenerati, ad esempio, si potrebbero far passare norme a favore della pedofilia. Di solito però le cose non sono così chiare a molti. Spesso si assiste piuttosto all'azione di Stati che, pur avendo Costituzioni ed altri strumenti volti a non sconfinare nel semplice arbitrio, che diventa poi dittatura della maggioranza, invece sono democratici solo con quelli che considerano gli "eletti". Questo ricorda il caso degli Stati Uniti d'America, che hanno un regime pseudodemocratico, cioè di democraticità formale, svuotata e non sostanziale, dato che cercano di imporsi, in nome della democrazia, in modo tutt'altro che democratico. Oltre tutto, non hanno l'autorità morale per farlo, avendo un passato ed un presente non esemplari (hanno, ad esempio, causato tre milioni di morti al Vietnam, tanto per citare solo uno dei tantissimi esempi possibili).

Devono essere i popoli stessi a cambiare certe situazioni, solo se davvero lo vogliono, cosa non impossibile, ricordando il caso degli afghani, aiutati solo indirettamente da altri Stati contro i sovietici. Tornando al discorso d'Israele, c'è da ricordare di nuovo che non ha una Costituzione. La democrazia non può ridursi a meccanismo elettorale. Israele non può essere definito democrazia, perchè non si può essere democratici solo con una parte degli abitanti. Anche se i palestinesi dentro Israele hanno formalmente diritto di voto, sono cittadini di serie B, ma non è certo questo l'unico problema. Il diritto di voto, per quanto importante, non è assolutamente l'unica cosa. Quando si legalizzano gli assassinii e la tortura, entrambe cose avvenute in Israele, non ci si può legittimamente definire democratici, perchè il diritto alla vita ed alla sicurezza vengono ancora prima del diritto di voto. Da morti non si vota. La democrazia non deve essere puro arbitrio della maggioranza: in quel caso lì l'aperta dittatura ha almeno il vantaggio di non essere ipocrita. Per quanto sia nella natura delle cose umane il non potere raggiungere la perfezione assoluta, e ci possano essere diversi gradi di democraticità, sicuramente quando vengono elevati a sistema tortura e omicidi di esponenti politici avversari, il limite è stato passato, e non si può più parlare di democrazia. Ci sono anche segni di ulteriori arretramenti della società ebrea israeliana, con lo storico Benny Morris, che mise in luce molti aspetti delle espulsioni del 1948, che adesso rimpiange che le deportazioni non siano state ultimate, e con il caso dello studente dell'università di Haifa, espulso nel dicembre del 2000 perchè aveva provato in modo inconfutabile il massacro di Tantura (da sempre risaputo tra i palestinesi).

 

Lo scrittore francese Jean Genet

A proposito delle torture permesse in Israele, si può ulteriormente rafforzare l'argomentazione dando un'occhiata anche a questo link in Internet, tratto dall'organizzazione israeliana B'tselem: www.btselem.org/files/site/english/torture/9209.asp. . Israele applica costantemente il criterio dei due pesi e delle due misure: ad esempio, assediò per mesi Arafat, fino ad ottenere nel 2002 l'arresto da parte delle forze dello stesso Arafat dei palestinesi del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, responsabili dell'uccisione del pericoloso ministro israeliano Rehavam Zeevi (sionista tra i più estremisti), mentre lo stesso governo ebraico ordina apertamente assassinii di esponenti politici palestinesi.

Palestinese ferita in Libano dagli israeliani

 

Tra le armi devastanti usate dagli israeliani c'è anche il napalm, usato soprattutto nella guerra del 1967, durante la quale furono uccisi diverse migliaia di civili palestinesi. C'è poi il sospetto che gli israeliani usino l'uranio impoverito, devastante per gli equilibri ecologici e sanitari (come gli americani in Serbia ed Irak). Si parla spesso di problema palestinese, ma non altrettanto spesso se ne parla in modo adeguato: a volte è come implicito che i palestinesi si siano andati a cercare dei guai; in realtà ciò che è accaduto è sostanzialmente una catastrofe immotivata, ed il problema è la questione della natura espansionista ed aggressiva connaturata al sionismo, che ha fondato sulla terra altrui un'entità chiamata Israele. Ancora a proposito dell'impunità della quale usufruiscono i criminali sionisti, sono paradigmatici anche i casi della statunitense Rachel Corrie e di un inglese dell' International Solidarity Moviment, entrambi assassinati dagli israeliani, senza che questi fossero puniti per tali delitti. L'americana Rachel è stata orribilmente schiacciata da una ruspa nel marzo 2003, mentre cercava di difendere col suo corpo delle povere case palestinesi, il ragazzo inglese è stato ucciso mentre difendeva bambini palestinesi dagli spari sionisti. Entrambi questi coraggiosi ragazzi non hanno avuto giustizia neppure postuma. In particolare, il governo di Bush jr non ha sollevato alcuna protesta per la barbara uccisione di Rachel (ricordiamo che i palestinesi avevano avvertito i militari ebrei israeliani che Rachel stesse facendo scudo col suo corpo alle case di Rafah, ma i delinquenti in divisa erano andati avanti). A questo proposito, sono ancora utili le parole di Israel Shamir, che definisce i sionisti anche servi del denaro ("mammoniti", dall'antico termine aramaico mammona, usato nei Vangeli). Ecco cosa dice: "I Mammoniti se ne infischiano degli abitanti dell'America, ma li usano come loro strumento per raggiungere il dominio mondiale. Il loro ideale paradigma del mondo è arcaico, o futuristico: sognano un mondo di schiavi e di padroni. E per poterlo realizzare, i Mammoniti cercano di distruggere in ogni modo la coesività delle unità sociali e nazionali".

La citazione è tratta dall'opera "Carri armati e ulivi della Palestina. Il fragore del silenzio" (edizione Ctr, Pistoia 2002). Da quest'opera sono significative da trarre altre citazioni sull'avidità di denaro, in questo caso riferite sia ai sionisti sia ai governanti degli U. S. A.: "Alle nuove èlite del potere non interessano nè Cristo nè Maometto, è vero, ma hanno un profondo senso di devozione verso un'altra antica deità Mammona. Questo vecchio dio dell'avidità era tanto amato dai farisei duemila anni fa, come apprendiamo dai Vangeli [...] Karl Marx arrivò ad una conclusione rivoluzionaria: la fede in Mammona, divenne la vera religione delle élite americane. [...] I Mammoniti hanno bisogno degli immigrati per se stessi. [...] Gli immigrati [...] non riescono a capire che i Mammoniti li desiderano così come i vampiri desiderano il sangue fresco [...] Molte persone oneste detestano il sionismo, perchè ha causato questa massiccia distruzione della meravigliosa terra di Palestina ed ha sradicato i palestinesi [...] Il suo fratello maggiore, la mammonite, è una maledizione mondiale che vuole ridurre il mondo ad una <<grande Israele>>, con molti centri commerciali e villaggi distrutti, insediamenti per alcuni privilegiati e molti, molti profughi come fonte di lavoro a buon mercato. I sionisti hanno rovinato la natura della Palestina, i Mammoniti rovinano tutto l'ambiente mondiale. I sionisti hanno sradicato i palestinesi, i Mammoniti sradicano tutti."

Rachel Corrie

 

A proposito invece della linea politica di Arafat, è indiscutibile che abbia contemplato troppi cedimenti e sudditanze. Quando si cede su troppe questioni, peraltro, non si possono neppure offrire contropartite mentre si cerca di ottenere cedimenti dall'altra parte. Il rischio è quello della svendita della causa, problema fatto presente già nel 1992 dalla palestinese Hanan Ashrawi, appartenente alla piccola comunità anglicana palestinese, di derivazione protestante, e nome noto nella cultura politica palestinese. Arafat ha quindi ottenuto molti fallimenti, anche se ha l'attenuante di essere sottoposto all'iniqua mediazione americana. Le parti israeliana e palestinese, quanto a posizioni di forza, sono su un piano non certo di parità. Ciò non per un maggiore valore israeliano, ma per gli attuali equilibri (anzi squilibri) mondiali. Gli stessi coloni, secondo un'indagine di Peace Now, pur ritenendo di avere l'autorità di rubare la terra palestinese, solo in minima parte sono disposti a combattere per conservarne il possesso. Non è quindi una questione di maggiore valore militare di parte ebraica. Comunque, nonostante certi aspetti della politica di Arafat siano da guardare criticamente, è giusto difenderlo quando Sharon lo assedia a Ramallah e lo minaccia di morte. Anche quanto di altro si rimprovera ad Arafat (gestione personalistica, corruzione diffusa nel suo entourage) non è assente nei vari governi israeliani, soprattutto dopo i ripetuti scandali finanziari durante i governi Netanyahu e Sharon. Inoltre, non bisogna lasciarsi intimidire dalla consueta accusa di antisemitismo con la quale vengono bollati i critici, senza distinzioni di destra e di sinistra, del governo israeliano. E' necessario chiedersi: cos'è l'antisemitismo? A volte con ciò viene indicata la critica ai presupposti del sionismo. In realtà si tratta di antisionismo, decisamente lecito e doveroso moralmente per chi conosca la questione, per opporsi ad una politica di pura prepotenza verso i non ebrei. Altre volte s'indica con antisemitismo la critica alla stessa religione ebraica: ma la critica alla religione è parte della libertà di pensiero, e non vuol dire certo essere automaticamente criminali. Quello che è da evitare è l'avversare le persone per la pura origine etnica, qualunque sia tale origine etnica. Tuttavia, il modo positivo col quale ad esempio è stato accolto dagli antisionisti il cristiano di origine ebraica Israel Shamir, a sua volta contrario al sionismo, fa comprendere come il problema non sia certo l'origine etnica in questo conflitto. Invece molti politici israeliani hanno il progetto di privare della cittadinanza israeliana le persone di origine ebraica che si convertono ad altre religioni, ma attualmente la proposta non è stata attuata. E' possibile privare della cittadinanza israeliana i palestinesi considerati rei di terrorismo, ma non gli ebrei terroristi. Resta poi da ricordare, ancora una volta, l'inesattezza dello stesso termine antisemitismo, quando la stragrande maggioranza dei semiti non è ebrea. A proposito del fatto che spesso i palestinesi siano chiamati estremisti, c'è da chiedersi: che s'intende per Paesi arabi moderati? I Paesi così indicati semplicemente seguono una politica di sottomissione agli U. S. A., come in Kuwait, dove le donne non possono votare (mentre votano in Iran, spesso additato come di struttura arcaica: ma l'Iran ha una politica estera rivoluzionaria invisa agli americani).

La società palestinese, di radici patriarcali, è divenuta una delle più evolute del mondo arabo, integrando tradizione e modernità, con un ruolo non marginale delle donne: vi è possibile, ad esempio, il divorzio anche per iniziativa della donna (il divorzio è permesso dal Corano, anche se viene visto da scegliersi quale ultima ratio in caso di dissidi tra sposi). Anche Hamas non impone il velo, che non è neppure direttamente prescritto dal Corano, ma che spesso viene usato come simbolo di abbigliamento composto, dandogli anche un valore religioso: tuttavia, il suo significato principale è di essere essenzialmente parte della moda locale, ed era diffuso tra gli arabi anche in epoca preislamica. E non è vero che i palestinesi e gli arabi si siano opposti ai sionisti solo perchè questi ultimi sono ebrei: i palestinesi si sono opposti anche ai giordani quando volevano governarli. Così in Africa i saharawi, la popolazione arabo-berbera del Sahara Occidentale, si opposero ai tentavi di governarli di altri due Paesi arabi: Marocco e Mauritania. Quali sono invece le reali speranze per il popolo palestinese? Nonostante la grave situazione attuale, ci sono molte ragioni per ritenere che la Palestina tornerà alle genti che l'hanno amata e rispettata. Nonostante la perdurante invasione sionista, ogni luogo, ogni villaggio che resiste, ogni località che rimane palestinese sono una vittoria contro l'imperialismo israeliano. Una delle questioni più da sostenere è quella del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. A proposito della situazione dei profughi palestinesi all'estero, e della loro condizione di prolungata precarietà, simile ad un limbo, e minacciati dagli israeliani, così si espresse lo scrittore francese, radicale e politicamente trasversale, Jean Genet, ricordando il suo incontro con anziane donne palestinesi profughe a Djebel Hussein, in Giordania: "Esse vedevano ancora una Palestina che non esisteva più dai loro sedici anni [...] Non erano nè sotto, nè sopra, in uno spazio inquietante dove il minimo movimento sarebbe stato un falso movimento. Sotto i piedi nudi di queste tragiche ottuagenarie di suprema eleganza, la terra stava ferma? Era sempre meno così. Quando erano fuggite da Hebron sotto la minaccia israeliana, qui la terra sembrava allora solida, tutti erano diventati più leggeri e si muovevano nella sensualità della lingua araba. Poi, col passare del tempo, sembrava che questo provasse la terra dov'erano: che i palestinesi erano sempre meno tollerabili". Genet riporta ancora, in un'altro passo: "Dio, dicevano e dicono ancora gli ebrei, aveva promesso una terra [...], e dunque questa contrada, che non apparteneva al dio degli ebrei (queste terre erano piene di dei), questa contrada era popolata di cananei che avevano anch'essi i loro dei, che combatterono [...]". Soprattutto, a proposito dello stravolgimento della terra dei profughi, Genet scrisse ancora nella stessa opera, il suo toccante saggio "Quattro ore a Chatila": "Nei campi [...] i rifugiati sognavano la Palestina che avevano conosciuto, nessuno osava dire o sapeva che Israele l'aveva squassata da cima a fondo, che dove c'era un campo di orzo adesso sorgeva una banca, dove c'era una vigna rampicante ora sorgeva una centrale elettrica". Infatti, i sionisti spesso avevano addirittura distrutto appositamente cimiteri, in una sorta di fine della civiltà. Così era accaduto ai cimiteri mussulmani sui quali erano stati costruiti la rue Argon a Gerusalemme (presso la collina di Sion, dalla quale i sionisti derivarono il nome della loro ideologia) e l'hotel Hilton di Tel Aviv. Oltre a ricordare che Balfour aveva firmato il suo trattato nel 1917, promettendo la Palestina, che anche i palestinesi chiamavano terra di latte e miele, ai sionisti, quando ancora l'Inghilterra non possedeva quella terra, Genet esplicita le sue convinzioni. Egli infatti afferma: "La scelta di una comunità privilegiata, al di là delle origini, quando si appartiene a quel popolo per nascita, è una scelta che si fa per un'adesione non ragionata, non che la giustizia non vi partecipi, ma questa giustizia e per intero la difesa di tale comunità si fanno in virtù di un richiamo [...] io sono francese, ma completamente [...] difendo i palestinesi. Il diritto è dalla loro parte [...]". Infatti non a caso gli israeliani temono tanto il ritorno dei profughi palestinesi, che potrebbe mettere in pericolo la maggioranza ebraica del Paese, costruita sulla pulizia etnica. E' giusto quindi sostenere il ritorno dei profughi palestinesi non soltanto in Cisgiordania e Striscia di Gaza, ma anche in Israele. I palestinesi non rimarranno a lungo nei cantoni nei quali sono stati confinati, simili ai Bantustan del Sudafrica ed alle riserve per gli sventurati pellirosse (a questo riguardo, un'analogia tra persecuzione tra nativi del Nordamerica e palestinesi è data pure dalla circostanza che ad alcune vittime palestinesi della strage di Sabra e Chatila venne tolto lo scalpo: così come certi cowboys statunitensi avevano l'abitudine di fare coi pellirosse, e non viceversa come invece raccontava una leggenda nera). A questo punto, uno Stato palestinese in Cigiordania e Striscia di Gaza può essere infatti una soluzione tutt'al più provvisoria ma probabilmente non definitiva visti pure i tentativi israeliani di annettersi ampie zone di insediamenti, e la crescita demografica della popolazione palestinese, anche in Israele. Nonostante l'utilizzo di tecniche contraccettive sia stato avallato dalle stesse autorità islamiche (mentre le tecniche abortive non sono considerate mezzi di controllo delle nascite, e la legge palestinese le vieta, tranne nei casi nei quali vi sia pericolo di vita per la madre), la media dei figli per donna è assai alta nella società palestinese, toccando, ad esempio, i sei figli per donna in Cisgiordania e gli otto per donna nella Striscia di Gaza. Eppure, la crescita demografica, più o meno analoga tra i palestinesi compresi in Israele, può anche portare non solo difficoltà economiche, ma può anche contribuire alla riarabizzazione della stessa Palestina. La situazione è precaria: anche nelle poche città miste d'Israele, ebrei e palestinesi in tanti casi convivono ignorandosi. Date le difficoltà poste dall'ipotesi dei due Stati, una via di uscita può essere quella di considerare i due Stati tutt'al più quale soluzione provvisoria, ma non definitiva. Un ulteriore passo avanti può essere quello di un unico Stato in tutta la Palestina storica, nel quale ogni etnia e cultura possano affiancarsi, per arrivare ad una situazione che porti le due parti su un piano parità e senza discriminazioni. Per tale passo, comunque, è opportuno che i palestinesi riabbiano la propria sovranità, proprio a cominciare da Cisgiordania e Striscia di Gaza, dove sono da smantellare gli insediamenti, che sono tutti illegali. Infatti, non può esserci un piano di parità quando i coloni ebrei continuano a rubare acque e terre. L'idea dell'unico Stato non monoetnico su tutta la Palestina storica è sostenuto in realtà dai sentimenti più profondi della popolazione palestinese, e da validi intellettuali, tra i quali il recentemente scomparso Edward Said, palestinese di Gerusalemme, e dallo stesso giornalista di origine russa Israel Shamir, che propongono ben altra pace rispetto agli inganni di Oslo. Le trattative con la Siria non sono mai andate avanti, e questo anche col nuovo presidente siriano Bashar El Assad (figlio di Hafez). Il Golan è uno dei territori arabi più intensamente colonizzati, in percentuale, dagli israeliani. Con la guerra del 1967, 500.000 profughi siriani erano riparati in altre zone della Siria, e solo nel 1973 c'era stata una parziale riconquista siriana di quel territorio, con la ripresa anche dell'importante città siriana di Quneytra. Nel Golan sono riusciti a rimanere circa 16.000 siriani, presto purtroppo superati in numero dai coloni ebrei installatisi abusivamente sul territorio. Il Golan fu annesso nel 1981, ma l'annessione non è stata riconosciuta. La Siria, sostenitrice della fermezza, mai ha accettato l'annessione israeliana. Anche riguardo il Golan i sionisti hanno continuato la loro collaudata tecnica del cercare di creare divisioni artificiose: il villaggio di Ghajar, al confine tra Golan e Libano, in particolare col territorio di Shebaa (un fazzoletto di terra libanese ancora occupato dagli israeliani per motivi strategici, disabitato e rivendicato dal Libano, nonostante lo status incerto datogli dalle Nazioni Unite, riguardo il suo essere conteso anche tra Siria e Libano), fu diviso dal resto del territorio siriano del Golan. Infatti Ghajar è ambito per la sua posizione di confine. Israele ha approfittato dei contrasti per cercare di rendere la propria presenza definitiva a Ghajar, imponendo agli abitanti la cittadinanza israeliana. Il villaggio si trova così per metà controllato dai vicini libanesi (per accordo internazionale) e per metà dagli israeliani, con i contadini arabi separati dalle proprie terre. Comunque, Ghajar è storicamente siriano, e la Siria non vi ha rinunciato. I circa 1300 abitanti di Ghajar sono alawiti, ed anche questa loro differenza confessionale dai circa 15.000 siriani drusi del Golan ha contribuito a far sì che Israele ritenesse più facile isolarli. Comunque, gli abitanti di Ghajar si oppongono alla divisione del villaggio (che ne ha appunto staccato una parte dal Golan siriano, facendolo occupare dai libanesi). La strategia sionista è stata sempre quella di dividere, si pensi anche che Israele ha aiutatao l'E. L. S. già dal 1970, cioè da prima della guerra civile libanese, suscitata anche dalle manovre israeliane, e che spesso coinvolse anche truppe straniere (come quelle francesi ed americane colpite dagli attentati degli sciiti nel 1983, che provocarono centinaia di morti). Eppure, in ultima analisi i tentativi israeliani di dividere il mondo arabo sono falliti, soprattutto non sono riusciti i tentativi di creare solchi tra islamici e cristiani della Palestina: la Resistenza palestinese ha avuto molti alti esponenti cristiani tra le sue fila (George Habbash, Najef Hawatmeh, Wafi Haddad, per fare solo qualche esempio di palestinesi cristiani), dato poi che lo stesso Gesù Cristo viene altamente onorato nell'Islam quale profeta. Tornando al discorso sul Golan, i drusi siriani sono riusciti a mantenere la propria cittadinanza siriana, rifiutando quella israeliana (possibilità che mancò ai palestinesi nei confini d'Israele, che non avevano una parte di proprio Stato in piedi). L'opposizione alle politiche sioniste è costata ai siriani drusi una grossa limitazione della libertà di movimento. Nel Golan siriano, gli israeliani hanno distrutto circa un centinaio di villaggi. La porzione di Golan palestinese, molto piccola e su buona parte della costa del lago di Tiberiade, ha visto la distruzione, da parte degli israeliani, dei villaggi palestinesi di al Samra, Al Nuqayb, al Hamma e Samakh (località d'origine dello scrittore ed attivista politico palestinese Yahya Yakhouf). Le trattative tra Israele e Siria si sono arenate proprio sulla questione se Israele restituirà solo il Golan siriano o anche il Golan palestinese, con la Siria che vuole la liberazione di tutto il Golan. Certo è giusto che la parte palestinese di Golan spetti ai palestinesi, tuttavia la questione è stata poco ricordata dagli stessi negoziatori palestinesi, per timore che la Siria voglia mantenere un qualche controllo dell'area (e la Siria è contemporaneamente tra i Paesi che più hanno sostenuto la Resistenza palestinese). Comunque, se rimane con Israele quel territorio non sarà certo restituito dai sionisti, mentre una consegna alla Siria potrebbe essere solo temporanea. Alla fine, comunque, quella porzione di Golan è palestinese, circostanza ricordata di recente anche da Arafat: è giusto che sia da restituire, prima o poi, ai palestinesi. Rimane soprattutto la consapevolezza dell'ingiustizia della spartizione del 1948, decisa in modo disonesto ("Mi dispiace signori ma io devo rispondere a centinaia di migliaia di persone che si aspettano il successo del sionismo. Io non ho migliaia di arabi tra i miei elettori" aveva dichiarato Truman, in ciò non diverso dal presidente americano Clinton e da tanti altri colleghi loro connazionali). Se la scelta fosse stata affidata alla popolazione della Palestina, certamente le cose sarebbero andate diversamente, dato che i palestinesi erano circa il 70% della popolazione, nonostante la massiccia immigrazione sionista illegale. E non dimentichiamo che non esiste il diritto d'invasione, specie quando si viene da padroni nella terra altrui. Sono circa 200.000 i palestinesi, che tentavano di non essere privati della loro terra, uccisi dai sionisti dagli anni'40. Contando le uccisioni precedenti a quel periodo e le vittime palestinesi uccise all'estero, spesso dagli stessi sionisti, le morti sono ancora di più, sempre nell'ordine delle centinaia di migliaia. Eppure la società palestinese è vitale, e l'amore per la propria terra è ancora più forte della tirannia. Tanti combattenti continuano ad immolarsi religiosamente contro quello che chiamano al-adu al-sahyuni, cioè il nemico sionista. Questi combattenti non parlano neppure di Dawlat Isra'il, (Stato d'Israele) ma semplicemente di al-kiyan al-sahyuni, cioè dell'entità sionista. Tra i palestinesi sono molto diffusi i nomi patriottici, ad esempio "Jaffa", "Haifa", "Sabra", "Shatila" (Chatila), anche certo "Palestina" ("Falastin", "Filastiin"). Mohammed-Rami Al Dura, il piccolo palestinese ucciso davanti alle telecamere durante la seconda Intifada nel settembre 2000 (mentre il padre Jamal rimase ferito ma riuscì a sopravvivere), è diventato un simbolo, al quale sono state anche dedicate canzoni, non solo palestinesi. Nella società palestinese sono molte le manifestazioni di ricchezza culturale, fiorenti soprattutto nel campo artistico, letterario e specialmente nella poesia, cinematografico, musicale, filosofico (si ricordino gli importanti studi sul filosofo italiano Julius Evola, molto apprezzato negli ambienti palestinesi, specie per i suoi studi sull'Islam mistico ed esoterico) ed anche tecnico-scientifico. In tempi storici, e col cambiamento degli squilibri attuali, come sono caduti gli Stati crociati in Oriente nel Medioevo, così la Palestina tornerà alle sue genti originarie, che non l'hanno mai dimenticata e l'hanno resa la terra più amata.

Fine


Antonella Ricciardi

   
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