Con l'inizio degli anni '90 si potette dunque assistere al termine della sanguinosa guerra civile libanese, che aveva provocato circa 150.000 morti tra l'aprile 1975 e l'ottobre dell 1990, anno degli accordi che ne segnarono la conclusione, siglati in Arabia Saudita. Una svolta all'annoso conflitto l'aveva data lo sconfinamento delle truppe siriane nel Paese dei cedri, che precedentemente erano intervenute solo in modo sporadico nel conflitto, nonostante la Siria avesse storicamente avuto l'intenzione di influire sulla politica libanese.
Prima dell' intervento siriano del 1987, un certo vantaggio continuava ad essere conservato dalle milizie crociate falangiste, soprattutto a causa degli aiuti ebraici. A questo proposito, può essere utile consultare il testo "The conscience of Lebanon", dell'israeliano Mordechai Nisan. Nonostante la mancanza di prese di distanza da atti inaccettabili, ad esempio la glorificazione del comandante Abu Arz, visto quale simbolo dell'opposizione all'avanzata araba in Medio Oriente (mentre egli in realtà aveva spianato la strada in modo servile all'imperialismo israeliano), il testo è utile per comprendere la stretta alleanza tra Abu Arz e Begin. Viene ad esempio narrato un incontro tra Abu Arz e Begin nel 1977, nel quale quest'ultimo perorava l'allontanamento della popolazione palestinese dal Libano, in quanto molto vicina ancora ai confini della Palestina storica. A Begin, che osservava che dei 400.000 palestinesi residenti in Libano, potevano restarne tutt'al più 20.000, Abu Arz ricordò che, tra il 1975 ed il 1977, i falangisti con gli israeliani ne avevano già uccisi 20.000, e quindi la condizione era accettabile. Una volta ancora, però, giova sottolineare che l'identificazione con una discendenza, ideologica ed addirittura etnica, con i crociati, è una realtà che riguarda la comunità cattolico-maronita in Libano, ma non anche le altre di questo rito, (presenti oltre che in Medio Oriente ed Egitto, come già indicato, anche presso alcune comunità di emigrati) che di solito sono ben assortite con le altre componenti religiose. A questo proposito, si può consultare in Internet questo link: digilander.libero.it/santadalberto/documenti/shobi%20testo%20intervista.htm. In esso Sobhy (Sobhi) Makhoul, palestinese di rito maronita, s'identifica con la causa palestinese, definendosi, del resto, arabo-palestinese. |
Il palestinese Abu Abbas |
Molte fonti sono consultabili in proposito, sia sulla stessa persona sia su altre. Comunque, la Resistenza libanese contro gli israeliani ed i loro alleati, continuò. In particolare è da ricordare l'attentato compiuto da Souha Béchara, del Partito Comunista Libanese, contro il generale Haddad, leader maronita dell' E. L. S. (Esercito del Libano del Sud), milizia assoldata dagli israeliani. Haddad rimase ferito, mentre Souha (cristiana di confessione ortodossa e rito greco), all'epoca diciassettenne, venne imprigionata a lungo nella famigerata prigione di Khiam, nel Libano meridionale. Nella prigione di Khiam, controllata dagli israeliani e dai loro alleati, i prigionieri libanesi e palestinesi venivano continuamente torturati. Alla fine, Souha venne liberata anche per le pressioni internazionali, e venne accolta da eroina.
In alto da sinistra, in senso orario, Al Molki, Al Ashker, Al Asadi e Fatayer, autori del sequestro Lauro |
Una volta libera, ella, cristiana, scelse di abitare nella zona islamica di Beirut, anche per simbolizzare l'unità della nazione libanese. L'intervento siriano, avvenuto col presidente ba'athista Hafez El Assad, fu al fianco delle forze mussulmane e progressiste libanesi. Anche se è auspicabile il mantenimento dell'indipendenza libanese, sia rispetto ad israeliani sia a siriani, è comunque vero che l'intervento siriano bloccò le ambizioni d'Israele e dei suoi alleati riguardo il Libano. Gli ultimi bastioni delle forze cristiano-crociate caddero nella zona di Beirut nell'ottobre 1990: senza più la presenza degli ebrei israeliani (rimasti solo nel Libano del Sud), le forze maronite- crociate ebbero alcune migliaia di uccisi sotto i colpi dei siriani, in quella battaglia che concluse la guerra. Con questa conclusione del conflitto, i palestinesi del Libano, che negli anni precedenti avevano subito, appunto, enormi perdite, videro senz'altro un miglioramento delle proprie condizioni. Tuttavia, la loro situazione rimane non facile: dato che pochissimi hanno la cittadinanza libanese, sono loro interdette moltissime professioni in quel Paese. Ciò è dovuto anche alla storica preoccupazione di non alterare troppo gli equilibri confessionali in Libano: la fine della guerra aveva portato ad una ripartizione più equa dei poteri, ma le preoccupazioni non erano del tutto sparite. Pur dichiarandosi verbalmente solidale con la causa palestinese, il governo libanese ha sempre cercato di non rendere definitiva la presenza palestinese nel Paese. In realtà è senz'altro auspicabile un'apertura alle attività palestinesi in Libano: i palestinesi stessi non vogliono rimanenervi definitivamente, volendo (giustamente) rientrare in Patria, ma fin tanto quanto l'arroganza israelo-americana lo impedirà, è senz'altro giusto rendere quella presenza meno difficile. A proposito di equilibri etnico-religiosi, c'è da ricordare che anche Israele non vuole il rientro dei profughi palestinesi con la motivazione del non voler alterare quei tipi di equilibri. Viene da chiedersi: perchè gli equilibri del Libano e di altri Stati possono venire alterati e quelli d'Israele no? Eppure, geograficamente Israele è la Palestina, n'è il 77%, ed i profughi palestinesi sono originari della Palestina storica, non di altre terre. |
Con la caduta del Muro di Berlino del 1989, (e di quelli degli altri regimi comunisti nell'Europa dell' Est in quello stesso anno) e con quella dell'Unione Sovietica del 1991, gli Stati Uniti d'America divennero l'unica superpotenza rimasta. Già prima, però, gli americani influenzavano in senso filoisraeliano le politiche di vari Paesi: una parziale eccezione ci fu in Italia coi governi democristiani di Aldo Moro e Giulio Andreotti e soprattutto col socialista Bettino Craxi. Quest'ultimo, l'11 ottobre 1985, si oppose alla consegna agli americani di quattro giovani profughi palestinesi (Majed Yussef Al Molki, Bassam Al Ashker, Abdellatif Ibrahim Fatayer ed Ahmad Al Asadi). I quattro (tra il 7 ed il 9 ottobre) avevano preso in ostaggio i passeggeri della nave da crociera italiana Achille Lauro, minacciandone i passeggeri ebrei, inglesi ed americani. In cambio della loro liberazione, i quattro chiedevano che gli israeliani rilasciassero numerosi prigionieri palestinesi.
C'è da tenere presente, però, che questi quattro palestinesi (del Fronte di Liberazione della Palestina, di Abu Abbas), non avevano l'intenzione originaria di uccidere civili, ma di attaccare i militari (paracadutisti) di un porto israeliano. Vistisi scoperti, avevano preso il controllo della nave. Arresisi per mancanza di prospettive di successo, era stato loro permesso di lasciare la nave, a bordo di un aereo egiziano. Il velivolo era stato costretto ad atterrare in Sicilia, nella base N. A. T. O. di Sigonella, sotto la minaccia di abbattimento. Gli americani volevano la consegna dei quattro, dato che uno di loro (Al Molki), durante un alterco aveva ucciso un cittadino degli U. S. A. di religione ebraica, Leon Klinghoffer. Craxi invece fece valere il diritto internazionale, facendo rimanere i palestinesi in Italia (dato che la nave è considerata parte del territorio dello Stato di provenienza). Reagan visse ciò come un'insubordinazione. I quattro palestinesi (uno dei quali, Al Ashker, diciassettenne nel 1985), furono in seguito condannati ad una serie di anni di detenzione, variabili a seconda di ciascuno di loro, in Italia. Questa situazione di predominio americano quasi del tutto incontrastato aveva portato ad un ulteriore sbilanciamento in senso filoisraeliano del governo di Washington. Eppure, questa circostanza aveva portato anche ad un ricompattamento del modo politico palestinese, nel quale si erano da poco verificate diverse divisioni. Da ricordare, in particolare, l'assassinio dell'esponente palestinese moderato Issam Sartawi, avvenuto in Portogallo nel 1984, ad opera del gruppo di Abu Nidal, e la ribellione di Abu Mussa e dei suoi seguaci verso Arafat: ciò aveva portato a scontri tra palestinesi in Libano, culminati nel 1983 col bombardamento del campo profughi palestinese di Nahr El Barad (nei pressi di Tripoli del Libano), ad opera di palestinesi seguaci di Abu Mussa. La guerra del Golfo del 1991 portò ad un maggiore isolamento di Arafat, considerato vicino al presidente irakeno Saddam Hussein (esponente del Ba'ath), autore dell'invasione del Kuwait del 1990 (considerato territorio sottrato in modo artificioso alla sovranità irakena dai colonialisti inglesi). Effettivamente il ritagliamento del territorio kuwaitiano era avvenuto anche per isolare una zona particolarmente ricca di petrolio, anche se nel frattempo i kuwaitiani erano andati sviluppando una propria identità nazionale. |
La libanese Souha Bèchara |
Comunque, l'incontro tra Saddam Hussein e Yasser Arafat venne soprattutto non bene illustrato nelle sue finalità dalle stesse fonti d'informazione, anche arabe. In realtà, l'intento di Arafat era una chiusura pacifica del contenzioso da risolversi tra arabi, e non il desiderio d'imporre fatti compiuti ai kuwaitiani; l'intenzione palestinese di evitare la Guerra del Golfo del 1991 non era certo di per se stessa negativa. Da notare poi che l'Irak di Saddam Hussein era uno dei principali Paesi del Fronte del rifiuto (gli altri principali erano l'Iran, la Siria e La Libia, con quest'ultimo Paese guidato dal colonnello Muhammar Al Gheddafi, che, con la sua Rivoluzione verde, aveva instaurato un governo laico, socialisteggiante e nazionalista). I Paesi del Fronte del rifiuto (il rifiuto è nei confronti d'Israele) furono tra i principali sostenitori della Palestina. Ormai, però, la situazione si era aggravata, e la liberazione del Kuwait vide, oltre ad alcune decine di esecuzioni sommarie contro palestinesi ed irakeni, anche la cacciata indiscriminata dei circa 300.000 immigrati palestinesi in quella nazione (quasi tutti). Eppure proprio i palestinesi, tra i quali si registra il più alto tasso d'istruzione del Medio Oriente (nonostante le enormi difficoltà cui vanno incontro) avevano molto aiutato i kuwaitiani a stendere le basi delle proprie istituzioni. Intanto in Palestina l'Intifada continuava, nonostante la durissima repressione del nuovo premier Yitzhak Shamir (Begin era morto nel 1985, ma Shamir non era migliore: tra l'altro, era stato anch'egli tra i resonsabili del massacro di Deir Yassin, del 13 aprile 1948). Addirittura, alcuni soldati israeliani erano stati filmati mentre spezzavano le ossa a colpi di pietre a due ragazzini palestinesi dell'Intifada, ed altri soldati ebrei avevano tentato, senza riuscirci, di seppellire vivi con una ruspa altri palestinesi. La Conferenza di Madrid del 1991, che avrebbe dovuto sciogliere il nodo arabo-israeliano con la mediazione statunitense, non aveva avuto successo, data la partigianeria di James Baker e George Bush senior. Tuttavia, l'elezione a nuovo premier di Yitzhak Rabin (labourista, mentre Begin e Shamir erano del Likud), sembrò smuovere le acque. E' molto triste ricordarlo dopo che è stato celebrato come un eroe di pace dopo l'uccisione ad opera di un estremista ebreo, ma è doveroso dire che anche Rabin fu autore di crimini. Era stato Rabin, infatti, ad ordinare di spezzare le ossa ai palestinesi dell'Intifada, inoltre egli fu mandante di vari omicidin politici. Poi, era stato Rabin l'artefice dell'espulsione in massa, durante la prima guerra arabo-israeliana, delle popolazioni palestinesi di Lydda e Ramleh (che, affidate dall'O. N. U. al futuro stato Palestinese, furono invece annesse ad Israele). Superato il divieto di avere contatti con membri dell' O. L. P., vennero intavolati, per mediazione del presidente americano Clinton (del Partito Democratico), negoziati tra le delegazioni israeliana e palestinese. Il 13 settembre 1993, ci fu a Camp David la storica stretta di mano tra Arafat e Rabin, e vennero siglati gli accordi cosiddetti di Oslo (dal nome della capitale norvegese, dove erano stati siglati). Questi accordi, salutati come un'enorme svolta, in realtà erano decisamente iniqui verso i palestinesi, ed in essi si scambiava il diritto con il favore. Prevedevano un graduale passaggio della sovranità ai palestinesi (a cominciare dalla Striscia di Gaza e dalla città cisgiordana di Gerico), con la suddivisione del territorio palestinese in tre zone: A, B e C. La prima era a controllo totalmente palestinese, la seconda a controllo israelo-palestinese, la terza a controllo solo israeliano. Non veniva smantellato alcun insediamento colonico (anzi, le colonie continuavano a crescere a dismisura, e per non creare problemi ai coloni venivano create strade solo per loro, interdette ai palestinesi). Il territorio palestinese continuava ad essere frazionato in numerosissimi posti di blocco, che rendevano la mobilità dei palestinesi quasi impossibile. Non è raro, infatti, trovare a d esempio gente di Betlemme che non abbia mai visto la vicinissima Gerusalemme. Quanto alle questioni più spinose (statuto definitivo dei territori passati sotto il controllo dell' A. N. P., cioè dell'Autorità Nazionale Palestinese, presieduta da Arafat, profughi, status di Gerusalemme), venivano considerati da chiarire entro il 1999. Questa scadenza non sarebbe stata rispettata, come quasi nessun'altra scadenza prevista dagli accordi di Oslo. La stessa linea indicata dalla formula "Due popoli due Stati", passata per l'intervento di Arafat al Parlamento palestinese in esilio a Tunisi, nel 1988, ma contestata da grossa parte dei movimenti palestinesi, soprattutto da quelli radicali religiosi e laici, si rivelava sempre più impraticabile. Tutto questo soprattutto per una doppia concausa di fattori: il continuo incremento delle colonie ebraiche e la forte crescita demografica palestinese.
fine della nona puntata-continua
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