Seconda Puntata

E' molto interessante, a questo punto, fare un breve passo indietro ed interrogarsi su quale consapevolezza avessero i dirigenti ebrei del fatto che la Palestina fosse in stragrande maggioranza abitata da un altro popolo (ricordiamo comunque che la prima fase di emigrazione ebraica, aliyah, cominciò, per motivi religiosi, presionisti, nel 1882, prima di allora la popolazione israelita locale era quasi inesistente). Numerose testimonianze in realtà smentiscono la possibilità di una buona fede nell'enunciare il famoso slogan "Una terra senza popolo per un popolo senza terra", era chiara infatti la consistente presenza del popolo palestinese. Altrettanto chiara era la volontà di allontanare quel popolo. Il fondatore del sionismo, Herzl, già nel 1895, addirittura prima del primo congresso sionista, scrisse nei suoi "Diari" queste inequivocabili parole: "Dovremo incoraggiare questa misera popolazione ad andarsene oltre confine, procurando loro un lavoro nei Paesi di destinazione e negandoglielo nel nostro.

 

Hajj Amin El Husseini

 Sia il processo di espropriazione che quello di allontanamento dei poveri devono essere effettuati con discrezione e cautela". Questa dichiarazione, in cui Herzl definisce proprio un Paese abitato da un altro popolo, rende tristemente manifesta l'idea di trasformare la Palestina in una colonia di popolamento. Lo stesso Herzl aveva a fine '800 mandato due rabbini a sondare la situazione in Palestina, ed essi riportarono un messaggio in codice, in realtà abbastanza chiaro, e cioè: "La sposa è bellissima, ma è sposata con un altro uomo", dove la sposa è la terra di Palestina, e l'altro uomo rappresenta i palestinesi (la citazione è tratta dal libro "The Iron Wall", dell'ebreo Avi Shlain). E' chiaro quindi che i rapporti tra palestinesi (che nella loro lingua non avevano neppure un termine per indicare l'ostilità verso gli ebrei), ed i nuovi arrivati, in particolare dagli anni '20, cominciassero a divenire conflittuali (in passato i palestinesi avevano accolto gli ebrei senza ostilità). Intanto, a tratti favorita dal mandato britannico, proseguiva l'immigrazione, spesso illegale, degli ebrei. Essi spesso si insediavano nei kibbutz, comunità agricole basate su un collettivismo volontario, spesso presentate come modelli di un certo socialismo: anche se il collettivismo volontario può evitare un totalitarismo collettivista forzato di tipo stalinista, è vero però che il kibbutz si basava sul lavoro ebraico esclusivamente, escludendo in modo discriminatorio i non ebrei.

Palestinesi in Vaticano 1920

 

L'immigrazione ebraica fece aumentare la coscienza nazionale palestinese. Tra il 1936 ed il 1939 i palestinesi dettero vita a numerosi moti, per l'indipendenza dall'Inghilterra e contro l'invasione sionista (con i sionisti c'erano già stati scontri di rilievo negli anni '20). Ancora una volta era manifesto ai sionisti che il loro desiderio di fondare uno Stato forzosamente nella terra di un altro popolo non poteva che essere inaccettabile per la popolazione indigena di Palestina. Lo stesso dirigente sionista David Ben Gurion dichiarava nel 1938 al comitato politico del suo partito, il Mapai: "Quando affermiamo che gli arabi sono gli aggressori e che noi ci difendiamo, è solo una mezza verità. Riguardo alla sicurezza ed alla vita, ci stiamo difendendo. Ma il combattimento è solo un aspetto del conflitto che è essenzialmente politico. E politicamente noi siamo gli aggressori e loro si difendono". Come commentare simili parole? Queste, come altre dichiarazioni prima riportate, di sionisti non pentiti, danno davvero il senso del fatto che sia molto peggio operare il male quando si sa quello che si fa. Eppure, si sa, perseverare nell'errore è diabolico.... Già negli anni '30, quindi, la situazione era molto tesa e piuttosto chiara. E' importante riportare a questo punto una illuminante dichiarazione, che non viene certo da un fanatico nazionalista integralista islamico, ma del padre dell'indipendenza indiana e teorico della non violenza, Gandhi, a giusto titolo definito "Mahatma" (Grande anima).

Ancora nel 1938, Gandhi disse: "La mia comprensione per gli ebrei non mi impedisce di affermare la necessità di giustizia. La richiesta di una Patria per gli ebrei non mi trova d'accordo. Nonostante il richiamo alla Bibbia e la tenacia con cui gli ebrei hanno ardentemente desiderato il ritorno in Palestina, la Palestina appartiene ai palestinesi, come l'Inghilterra appartiene agli inglesi o la Francia ai francesi. E' errato e disumano che gli ebrei si sostituiscano agli arabi. Ciò che accade in Palestina oggi non può essere giustificato da alcun codice o condotta morale. I mandati internazionali sono stati istituiti dopo l'ultima guerra. Sarebbe un crimine contro l'umanità allontanare i fieri arabi dalla Palestina per darla interamente o in parte agli ebrei". Vani furono i tentativi sionisti di avvicinare alla propria causa papa Pio X, che rifiutò per motivi teologici (l'opposizione cattolica per un Israele veterotestamentario basato su esclusivismo etnico con base territoriale). Vano fu anche il tentativo del sionista estremista laico (il sionismo era prevalentemente laico), Vladimir Jabotinsky, di avvicinarsi al fascismo per motivi strumenali. Con i provvedimenti nazisti e fascisti antiebraici, poi, aumentò l'emigrazione israelita verso la Palestina. A proposito di nazismo, pare che non subito, almeno alcuni ebrei, abbiano avuto profondo sentore dell'ostilità hitleriana nei loro confronti. Ad esempio, nel 1934, il rabbino sionista Joachim Prinz, nel suo libro "Wir Juden" (la traduzione del suo titolo è: "Noi Ebrei"), scrisse: "Noi vogliamo che l'assimilazione sia rimpiazzata da una nuova legge: la dichiarazione di appartenenza alla nazione ed alla razza ebraica" (alle pagine 154 e 155). Comunque, con le misure antiebraiche naziste e fasciste, e con le misure ancora più ostili avvenute durante la Seconda guerra mondiale, gli ebrei cominciarono ad essere visti quali vittime. Dopo la guerra, mentre si diffondeva un'ondata di emozione per la vicenda della Shoah, il mandato inglese sulla Palestina stava scadendo.

Nei decenni passati, intanto, molti ebrei erano giunti negli Stati Uniti, soprattutto in fuga dai pogrom della Russia zarista. In quella terra di adozione, gli ebrei, in netta maggioranza, conquistarono un importante ruolo politico-economico. Per questo il presidente americano Harry Truman (lo stesso delle criminali bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki), dichiarò che, tra gli arabi e gli ebrei, egli sceglieva coloro i quali gli avessero fornito voti, e non esitò quindi a scegliere gli ebrei. Già prima della fine della Seconda guerra mondiale era stato definito dagli americani il ruolo filo-occidentale e di testa di ponte dell'imperialismo nella regione del futuro Stato d'Israele. Così nel 1947, (con l'astensione dell'Inghilterra, che non voleva ulteriormente inimicarsi gli arabi), fu approvato all'O. N. U. il piano di spartizione della Palestina (che a questo punto è chiaro essere stato un crimine), che concedeva agli ebrei poco più della metà della Palestina, ottenuto con scandalose pressioni americane, specie su nazioni latinoamericane. Nonostante la massiccia emigrazione ebraica, gli israeliti possedevano circa il 6% delle terre, ed erano il 30% della popolazione (solo il 10% erano ebrei originari della Palestina). I palestinesi erano quindi circa il 70% della popolazione, ed erano quasi tutti arabi (tra loro erano presenti piccolissime minoranze di lingua circassa, aramaica ed armena). Era presente anche una piccolissima comunità di zingari, di religione mussulmana.

 

Re Abdallah di Giordania

I palestinesi erano in grande maggioranza mussulmani (sunniti, con minoranze di sciiti duodecimani, drusi e baha'i ), c'erano poi comunità palestinesi cristiane, si trattava di cattolici, ortodossi e protestanti, tutte e tre le comunità erano divise a loro volta in riti locali. I palestinesi, spesso poverissimi, erano soprattutto contadini, mentre erano ad esempio meno numerosi tra loro i beduini, gli arabi nomadi. Con la spartizione del 1947 e la prima guerra arabo-israeliana del 1948-'49 (scoppiata in seguito alla dichiarazione d'indipendenza d'Israele, il 14 maggio maggio 1948), comiciò così l'esodo ed il dramma del popolo palestinese (in arabo "nakba", catastrofe).

 

fine della seconda puntata-continua


Antonella Ricciardi

   
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