All'inizio degli anni '70 la pratica del terrorismo di Stato, già precedentemente molto praticata dai vari governi sionisti, cominciò ad essere più apertamente dichiarata da quegli stessi governanti. Dopo la sanguinosa repressione giordana nei confronti della guerriglia palestinese del settembre 1970, era nato, per ricordare quei tragici eventi, un nuovo gruppo palestinese di lotta armata, denominato, appunto, " Settembre nero". Tale gruppo, indicato quale responsabile di atti di guerriglia e terrorismo, si rese responsabile, nel 1971, dell'assassinio del ministro giordano Wasgi, considerato tra i maggiori responsabili della strage del 1970, e del sequestro di 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco di Baviera, nel settembre 1972. In quell'occasione, però, (è una circostanza resa nota nel 1992, ma come "dimenticata"), solo due degli undici israeliani morirono durante uno scontro a fuoco per mano palestinese, gli altri nove furono uccisi dalla polizia tedesca che tentava di liberarli, con una granata. Degli otto palestinesi responsabili del sequestro, tre sopravvissero agli scontri, e, arrestati, furono in seguito liberati a causa di un dirottamento aereo nel corso del quale era stata richiesta la loro liberazione.
Il governo israeliano, guidato da Golda Meir (la stessa persona che aveva affermato che non erano mai esistite persone degne di denominarsi "palestinesi", e che quindi gli autoproclamatisi palestinesi si erano in qualche modo appropriati in modo forzoso di quel nome, non essendoci una cultura specificamente palestinese: chiaramente le sprezzanti frasi della Meir sono storicamente infondate), dette apertamente luce verde all'assassinio politico. Numerosi esponenti palestinesi furono assassinati, soprattutto in Europa tra il 1972 ed il 1973: tra questi, il rappresentante palestinese in Italia, Wael Zwaiter, assassinato a Roma, in piazza Annibaliano, il 16 ottobre 1972: era estraneo al terrorismo, agiva alla luce del sole, ed era noto quale uomo dolce e poeta senza un soldo (stava tra l'altro lavorando ad una traduzione poetica in italiano delle "Mille e una notte"). Il Mossad, servizio segreto israeliano specializzato in operazioni all'estero, eliminò inoltre fisicamente i capi di Settembre nero ed anche due dei tre militanti (trasferitisi in Libia) responsabili del sequestro alle Olimpiadi del 1972: il terzo militante palestinese venne ferito dal Mossad in Africa meridionale, nella quale si era spostato, ma riuscì a sopravvivere. Nel 1974 Arafat, in un discorso all'O. N. U., portando con sè, simbolicamente, una pistola ed un ramoscello di ulivo, simbolo di pace, avanzò l'ipotesi di uno Stato palestinese in Cisgiordania e Striscia di Gaza, ma non trovò risonanza nella stessa opinione pubblica israeliana. Intanto i palestinesi che erano riusciti a rimanere in Patria, dettero vita ad un coordinamento delle autorità religiose locali, anche per contrastare le continue espropriazioni. Il coordinamento non era facilissimo da realizzare, dato il grande pluralismo religioso, ma venne attuato. Infatti, oltre alla larga maggioranza mussulmana (circa l'87% dei palestinesi), sono da considerare numerose minoranze palestinesi cristiane, difficili da classificare anche perchè ci sono tra loro riti comuni a confessioni cristiane differenti. Infatti i palestinesi cattolici appartengono ai riti latino, caldeo, siriaco-giacobita, armeno, maronita, copto e greco-melkita, i palestinesi cristiani di confessione ortodossa si dividono tra i riti greco, armeno, melkita e copto. Esistono, inoltre, palestinesi cristiani di confessione monofisita (di rito siriaco-giacobita) e palestinesi cristiani di confessione protestante (a loro volta suddivisi in numerose denominazioni). Il 30 marzo 1976, i palestinesi residenti entro i confini dello Stato sionista protestarono in massa contro le espropriazioni di terre, l'esercito reagì sparando nonostante il carattere non violento della manifestazione, e sei palestinesi furono uccisi. Da allora i palestinesi commemorano quella data, denominata "Giornata della terra", in ricordo di quei martiri, ed ancora contro le espropriazioni. |
La libanese Josephine Abdo'Sarkis |
Dopo la repressione giordana nei confronti della resistenza palestinese, la maggior parte delle basi venne trasferita in Libano, nel quale vivevano, soprattutto in campi profughi, circa 400.000 palestinesi (in Libano vivevano complessivamente circa tre milioni di persone). A Beirut era morto, nel 1974, il famoso Muftì palestinese Hajj Amin El Husseini. La presenza dei palestinesi, quasi tutti mussulmani, potenzialmente poteva alterare l'equilibrio demografico-confessionale libanese, già precario. In Libano, infatti, vengono classificate cinque confessioni mussulmane (sunnita, sciita-duodecimana, drusa, alawita ed ismailita). Nel territorio libanese, inoltre, circa metà dei cristiani è cattolica di rito maronita, mentre i libanesi cristiani che non sono maroniti sono rappresentati da cattolici di diverse confessioni, da ortodossi e da protestanti (anche i cristiani ortodossi e protestanti sono divisi in molte confessioni). In Libano i maroniti, un tempo prevalenti, erano ormai una netta minoranza, ma non avevano alcuna intenzione di ridistribuire il potere. Inoltre, in terra libanese, tra la popolazione maronita cominciava a farsi strada un sentimento di estraneità nei confronti dello stesso mondo arabo nel quale vivevano. Nei territori libanesi, i maroniti originari di quei luoghi sempre più spesso sostennero di discendere dai crociati (in effetti tra questi maroniti sono numerosi gli ordini cavallereschi, di origine crociata, e nel Medioevo, in Libano, essi parteciparono alle Crociate, a differenza di cristiani mediorientali che le combatterono), fusisi con alcuni gruppi con ascendenze non arabe, e con radici tra gli antichi fenici ed aramei (il settimanale Carta riporta casi di maroniti che chiesero alla Francia di accoglierli, dato che molti crociati erano franchi). Il rito cattolico- maronita, comunque, storicamente nacque nel V secolo dopo Cristo, ad opera di un santo siriano, Marone, ed è diffuso, sia pure in modo molto limitato, anche presso alcune popolazioni arabe (le quali sono sia palestinesi sia egiziane sia siriane) e presso una molto esigua minoranza dei ciprioti (che usa il greco quale lingua corrente, ma l'aramaico, che fu lingua anche di Gesù Cristo, quale lingua liturgica: si tratta di una comunità di remote ascendenze siriache, quindi).
La palestinese Suad Srour El Mehri nel tribunale belga |
Nell'aprile del 1975, le tensioni esistenti in Libano deflagrarono in scontro palese: il 13 di quel mese, in seguito ad un attentato messo a segno contro il partito falangista (espressione degli estremisti maroniti) nel quale alcune persone erano state uccise, un gruppo di falangisti fermò un autobus di palestinesi provenienti dal campo profughi di Tall al Zaatar, ed uccise sommariamente 27 persone. Gli scontri dilagarono nel Paese, vedendo da una parte le forze falangiste, supportate da altri gruppi maroniti, e dall'altra i feddayin palestinesi aiutati da combattenti libanesi, mussulmani ma anche cristiani progressisti (soprattutto i libanesi cristiani di confessione ortodossa aiutarono molto i palestinesi). Nel gennaio del 1976, le forze palestinesi, aiutate soprattutto da volontari libanesi drusi (in Libano, storicamente, c'è una notevole ostilità tra la popolazione drusa e quella maronita, che subì molti morti ad opera della prima comunità già nel 1860), iraniani, afghani e libici, inflissero molte perdite alla componente maronita (tra le cui fila gli uccisi furono circa 600). Tuttavia, già nel corso del 1976 le forze falangiste contrattaccarono, uccidendo centinaia di civili nel quartiere La Quarantina, abitato da libanesi poveri (mussulmani) ma anche da un certo numero di palestinesi e zingari. In particolare i falangisti, con a capo il criminale di guerra Abu Arz, assediarono per circa due mesi in modo molto intenso (ma lo avevano già attaccato nel 1975), il campo palestinese di Tall al Zaatar (il nome vuol dire "Collina dei mirti", ed era un campo situato a Beirut Est, la zona cristiana della città, al confine col quartiere egemonizzato dai maroniti di Ashrafiyeh, anche se il campo era abitato da mussulmani). Gli attacchi a Tall al Zaatar vanno visti quindi nell'ambito di un piano di pulizia etnica. Per Tall al Zaatar erano difficili anche gli approviggionamenti della Croce rossa, e si rischiava la morte, non solo per i bombardamenti, ma anche per fame ed addirittura per sete. |
Il campo palestinese venne difeso anche da volontari provenienti dall'estero: si è parlato in effetti di difensori tedeschi della Baader Meinhof, di eritrei del Fronte di liberazione dell'Eritrea, di saharawi del Fronte Polisario (Sahara Occidentale), di tupamaros uruguayani ed addirittura di italiani delle Brigate rosse (tedeschi ed italiani erano stati segnalati anche nel campo palestinese di Sabra). Prima che intervenissero i difensori dall'estero, inoltre, Tall al Zaatar era stato attaccato anche da forse siriane (che come i giordani un tempo, temevano che i palestinesi fondassero quasi uno Stato nello Stato all'estero, rendendo quelle terre facili bersagli di vendette israeliane) e da forze palestinesi assoggettate alla Siria (si tratta del gruppo palestinese Es Saika). Anche in riferimento a questi contatti (nel suo caso in riferimento a presunti rapporti con le Br), venne arrestata in Italia, nel 1984 (in un superattico con vista sul mare) la famosa militante, nota per il suo coraggio, Josephine Abdo'Sarkis, libanese cristiana di rito armeno (tale anche per origine etnica, ed esponente delle Farl, Forze armate rivoluzionarie libanesi, gruppo filopalestinese; per essere stata trovata con armi e documenti particolari, la Abdo'Sarkis trascorse dieci anni in prigione). Comunque, furono uccisi molte centinaia di palestinesi durante l'assedio di Tall al Zaatar, e circa un migliaio dopo la caduta del campo, nonostante le garanzie di incolumità. Trentamila palestinesi del campo si trovarono senza casa, e centinaia furono gli scomparsi, tra i quali molte donne, violentate per settimane in bordelli per falangisti, poi uccise e sepolte sotto l'asfalto della strada per Jounieh. Già nel gennaio 1976, inoltre, i falangisti avevano ucciso molte persone del campo palestinese di Dbayeh, abitato da palestinesi cattolici di rito latino (alla protesta del Papa Paolo VI il comando falangista rispose in modo arrogante). Ancora nel 1976 i falangisti uccisero molti palestinesi del campo di Jisr al Basha, abitato da palestinesi proprio di rito maronita (i quali si sentirono sempre arabi palestinesi, come i loro correligionari di Biram in Galilea, e come gli altri loro correligionari del resto della Palestina). Nel 1978, mentre il governo sionista era guidato da Begin, gli israeliani (che da tempo aiutavano i falangisti) invasero il Libano meridionale, anche in questa occasione causando molti morti tra i palestinesi. Nel 1981 un bombardamento israeliano contro Fakhani street, a Beirut, uccise circa 200 civili palestinesi, comprese 60 persone di un ospedale pediatrico palestinese. Per avere il via libera del presidente americano Reagan per invadere il Libano, Israele aspettò che l'O. L. P. uccidesse un israeliano, considerato una spia. Così, nel giugno del 1982, gli israeliani invasero il Libano, affermando che i palestinesi tentavano infiltrazioni presso il confine israeliano settentrionale (l'invasione israeliana fu condannata dall'O. N. U., ma senza risultati concreti). Ecco il modo nel quale racconta questa vicenda il docente universitario di Chicago Norman Finkelstein, di origine ebraica: "Usando lo [...] slogan <<sradicare il terrore palestinese>>, Israele procedette al massacro della popolazione indifesa, uccidendo 20.000 palestinesi e libanesi, quasi tutti civili." (la citazione è tratta da Internet, fu messa in rete nella pagina web www.normanfinkelstein.com). L'invasione israeliana era cominciata a giugno, e solo a settembre si riuscì a negoziare la fine dell'avanzata. Gli israeliani, guidati dal generale Sharon, durante l'invasione uccisero appunto circa 20.000 persone delle quali circa 17.500 civili (dei quali circa 8000 palestinesi e 12.000 libanesi); inoltre, nonostante le affermazioni contrarie, gli israeliani non si fermarono al Libano del Sud (già in passato parzialmente occupato), ma si spinsero fino a Beirut. Durante l'invasione fu paricolarmente indiscriminato l'attacco israeliano contro il campo profughi di Ain el Halwy, condotto con bombe al fosforo (incendiarie), durante il quale furono uccisi circa 1000 rifugiati palestinesi. Dalla parte dei palestinesi avevano combattuto miliziani libanesi, siriani ed anche curdi (il Libano non comprende alcuna parte del Kurdistan storico, ma basi del P. K. K. del leader curdo Ocalan erano presenti per l'influenza siriana sul Libano, che già era abbastanza forte). I falangisti strinsero l'alleanza con gli israeliani: il progetto falangista ormai perorava il ritagliamento, dal territorio libanese, di uno Stato egemonizzato dai soli maroniti, in teoria del tutto indipendente, ma in realtà satellite dello Stato ebraico. Il 14 settembre 1982 venne ucciso il leader falangista Bashir Gemayel, ad opera di un altro cristiano-maronita di altra fazione. Tra il 16 ed il 18 settembre vennero attaccati i campi palestinesi di Sabra e Chatila a Beirut Ovest (dopo che gran parte dei combattenti palestinesi era stata evacuta, in tutto il Libano). A Sabra e Chatila furono uccisi più di 1000 civili, e precisamente 1499 secondo le stime più attendibili, riportate dal giornalista inglese Robert Fisk (contando anche gli scomparsi, che a quanto pare furono uccisi nella Città dello Sport, e sepolti sotto lo stadio di Beirut, ma alcuni furono portati a Bifkaya ed uccisi lì). A Sabra e Chatila furono uccisi almeno 700 palestinesi, ma vennero uccisi anche molti libanesi sciiti (anche del vicino quartiere di Bir Hassan), immigrati egiziani e di altri Paesi arabi che vivevano in quartieri confinanti coi campi. Numerosi gli episodi particolarmente raccapriccianti, tra i quali quelli di donne violentate e spesso poi anche uccise, e di donne incinte sventrate (episodi accaduti anche a Deir Yassin). Sionisti e falangisti declinarono le proprie responsabilità per il massacro, che fu invece rivendicato da una mai prima nota organizzazione favorevole ad allontanare il più possibile i palestinesi dalle proprie case (senz'altro una rivendicazione di copertura). Begin dichiarò sprezzante alla Knesset (il Parlamento israeliano ): "A Chatila, a Sabra, dei goyim (non ebrei) hanno ucciso altri goyim: che cosa ce ne importa?". La commissione israeliana Kahan, incaricata di far luce sulla strage, arrivò alla conclusione che Sharon fosse indirettamente responsabile della strage, (egli fu cosretto a dimettersi) avendo permesso ai falangisti di entrare nei campi. I palestinesi superstiti raccontarono che gli israeliani avevano illuminato a giorno i campi con razzi illuminanti, per aiutare i falangisti. Con l'elezione di Sharon a primo ministro israeliano, nel 2001, sono partite denunce da parte di superstiti palestinesi e libanesi contro Sharon, accusato di essere responsabile diretto e non solo indiretto di quel massacro. Secondo le più accurate ricostruzioni, infatti, il massacro fu materialmente opera di elementi maroniti-"crociati", (così vengono chiamati gli esponenti di questo gruppo etnico del Libano, per distinguerli da coloro che si distinguono dalle loro concezioni) ma anche di truppe israeliane: il tutto è particolarmente documentato dal giornale messicano "Masiosare" (inserto del quotidiano messicano "La Jornada"), dal settimanale italiano "Carta" del 13-19 dicembre 2001 e dal giornale internazionale "Le Monde diplomatique", per fare solo alcuni tra i tanti esempi possibili. I maggiori responsabili dell'orrenda strage furono quindi il falangista Elie Hobeika (nato a Bifkaya, sul Monte Libano, ed ucciso nel gennaio 2002, poco prima di una sua testimonianza in un tribunale belga per Sabra e Chatila: con lui furono uccisi altri 4 falangisti; secondo molte testimonianze, Hobeika voleva svelare le responsabilità di Sharon nelle stragi) e l'israeliano Sharon (che si è sempre rifiutato di testimoniare). Particolarmente dettagliata, tra le tante, fu la testimonianza della palestinese Suad Srour El Mehri, la quale perse molti familiari nella strage, venne violentata da un gruppo di assalitori, e che ha sempre raccontato di un gruppo misto, israeliano e falangista, che assalì la sua casa. Risulta che un certo ruolo nella strage, tra gli assassini, sia stato svolto anche da miliziani maroniti dell'E. L. S.. Intanto, nel 1981 gli israeliani avevano annesso il Golan e Gerusalemme Est: lo fecero perchè lì la popolazione araba, pur essendo maggioritaria, era meno numerosa che in Cisgiordania e nella Strisciadi Gaza. La politica di tutti i governi israeliani, sia di destra sia di sinistra, è sempre stata quella di annettersi la maggior porzione di terre arabe possibile, col minor numero di abitanti arabi possibile (altrimenti la maggioranza ebraica non sarebbe più stata tale in Israele, e lo Stato ebraico, per sopravvivere in quanto tale, sarebbe dovuto ricorrere ad un sistema di palese apartheid, dannosa però per la propria immagine). Non pochi sostengono che Israele sia, anche per la propria ebraicità, un'oasi di laicità e democrazia nell'area. A parte il fatto che bisogna essere democratici anche con gli altri, storicamente neppure è vero che l'Ebraismo abbia avuto meno di altre religioni la tendenza a non separare sfera religiosa e secolare. Nell'Ebraismo, infatti, sono comprese leggi che entrano pesantemente e drasticamente nella sfera privata: basti pensare, a tale proposito, alle disposizioni che condannavano ad essere uccise tramite lapidazione le spose non in stato di verginità al momento delle nozze e le persone adultere; venivano condannati a morte anche omosessuali, prostitute e persone ree di incesto (queste ultime erano condannate ad essere bruciate). Anche persone che avessero evocato i morti venivano condannate ad essere uccise a colpi di pietra, ed altri esempi sono possibili. Queste norme (presenti, ad esempio, nel Levitico, nel Deuteronomio, nel Giudaismo postbiblico del Talmud), che non vennero accolte dal Cristianesimo (specie per il discorso di Cristo riguardo la lapidazione), non furono ufficialmente ripudiate dall'Ebraismo. E' certamente vero che queste disposizioni non vengono applicate e non sono previste in Israele, e che certe cose siano da contestualizzare rispetto a certe epoche, ma è un fatto che la vita in Israele sia ancora regolata sulla Halachà, il diritto religioso ebraico: per questo motivo Israele non ha una Costituzione, ed addirittura i confini d'Israele non sono ufficialmente fissati: questo perchè per i sionisti più estremisti Israele dovrebbe comprendere, oltre a tutta la Palestina storica, anche parti di Libano, Siria, tutta la Giordania, e porzioni di Irak ed Egitto, ancora una volta per motivi religiosi. Fino all'inizio degli anni'90 fu vietato per cittadini israeliani avere contatti con membri dell'O. L. P., e questo con l'appoggio degli U. S. A. (i quali però non perseguirono tanti crimini dei quali furono responsabili tanti loro cittadini, ad esempio quello di Hiroshima e Nagasaki: addirittura colui che sganciò la bomba, Tibbets, dichiarò in seguito: "Non perdo il sonno per Hiroshima"). Iin Israele è legale la distruzione di case quale vendetta trasversale (riutilizzando una norma del periodo mandatario inglese); soprattutto, in Israele è legale la tortura. Ecco le parole con le quali ciò è denunciato da Amnesty International: "Deve ora essere chiaro alla Suprema Corte ed al popolo israeliano che Israele è il solo Stato al mondo che non solo usa, ma che anche giustifica ed accetta la tortura" (a questo proposito si può consultare in Internet: www.amnesty.it/news1999/51503999). In diversi luoghi del mondo viene applicata la tortura (oltre che aberrante, neanche utile, dato che sotto tortura si può dire qualunque cosa), ma solo in Israele è quindi legale. Riguardo ciò sono belle e coraggiose anche le parole di Israel Shamir, cittadino d'Israele di origine ebraica ma convertitosi al Cristianesimo ortodosso (con la conversione ha aggiunto al suo nome quello di Adamo). Israel Shamir (nato a Novosibirsk, nell'Estremo Oriente russo), spiega: "Lo sapete che in Israele ogni giorno, ogni ora, si torturano uomini [...] ?" ed ancora: "Questi tre milioni di goym vivono in Israele, fianco a fianco con gli ebrei. [...]. Un momento, direte voi: hanno l'autonomia.... Ma lo sapete che gli abitanti di questa autonomia non hanno diritto di voto? Che non hanno diritto di uscire dalla propria autonomia?" Queste parole sono state scritte peraltro dopo gli accordi di Oslo del 1993. Agli inizi degli anni ottanta gli elementi perchè il conflitto durasse, a maggior ragione, erano perciò particolarmente forti.
fine della sesta puntata-continua
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