Recensione del libro Prima di Israele
L a prima caratteristica che non può passare inosservata dell'ottimo libro di Piero Sella "Prima di Israele", dal sottotitolo "Palestina Nazione Araba, Questione Ebraica" (Edizioni dell'Uomo libero, prima edizione Milano 1996) è il suo anticonformismo, inquadrato in una visione di ampio respiro.
L'autore infatti, giornalista e scrittore, analizza la vicenda del popolo ebreo da poco dopo la preistoria alla contemporaneità. Citando puntualmente le fonti, e rielaborando in modo personale, Sella riesce a dimostrare una questione di profondo spessore: il conflitto israelo-palestinese non deriva da sfortunate circostanze locali, ma è parte della molto più ampia questione ebraica, essendone la più recente ed una delle più significative manifestazioni. Infatti, il libro mette in luce le reazioni di rifiuto e di ostilità che ovunque accompagnarono la comparsa degli israeliti in Europa, Asia, Africa e non solo. Questa ostilità, manifestatasi nelle epoche e nei luoghi più diversi, e considerata dagli ebrei una incomprensibile ingiustizia nei loro confronti, è invece per Piero Sella il frutto dell'esclusivismo razzista e suprematista ebraico, di radice veterotestamentaria e talmudica soprattutto. Quello che impropriamente viene definito antisemitismo, e che in realtà è antiebraismo, non è quindi una inspiegabile follia, ma è una reazione razionale di fronte ad una gratuita ostilità del Giudaismo verso i goyim, cioè i non ebrei, ed è connaturata agli stessi princìpi della religione giudaica, circostanza immediatamente evidenziata nei testi religiosi ebraici riportati nel libro. A proposito di questa reazione di rigetto diffusa, dall'Egitto faraonico ai nostri giorni, è opportuno ricordare proprio un autore israelita, che ammette: "[...] un parere così universale [...] fiorito in tutti i paesi ed in tutti i tempi, prima e dopo l'era cristiana, ad Alessandria, a Roma e ad Antiochia, in Arabia ed in Persia, nell'Europa del Medioevo e nell'Europa moderna, in una parola in tutte le parti del modo in cui ci sono stati o ci sono degli ebrei, mi sembra che un tale parere non possa essere il risultato di una fantasia o di un capriccio, e che debba la sua natura e la sua persistenza a ragioni profonde e serie" (Da Bernard Lazare, "L'antisèmitisme, son histoire et ses causes", La Vieille Taupe, Parigi 1985, mentre la prima edizione è del 1894). |
La copertina del libro "Prima di Israele" di Piero Sella |
E’ importante anche l’analisi portata avanti da Piero Sella sulla sopravvalutazione attuata da molti studiosi sui risultati raggiunti dal popolo ebreo, che nell’antichità già non fu mai particolarmente importante, e venne superato anche da molte civiltà coeve, basti ricordare agli alti sviluppi raggiunti dalle culture cananee nelle stessa Palestina, ed in particolare il profondo valore della civiltà fenicia, presente anche nella Palestina del Nord, oltre che in Libano ed altrove nel Mediterraneo. Comunque, gli esempi in questa direzione continuano per molto nel libro. Un’altra questione cardine in “Prima di Israele” è la considerazione che l’alta spiritualità del Cristianesimo sia per diversi importanti aspetti intrinsecamente fondata sulla contrapposizione ai principali fondamenti dell’Ebraismo: ad esempio, al Cristianesimo è estranea la concezione di popolo eletto, e di conseguenza dalla religione cristiana sono condannate le stragi compiute dagli israeliti fin dall’antichità nella conquista della Palestina e di altre terre vicine, che essi compivano in nome di Dio. Coloro i quali, anche nominalmente cristiani, e specie ultimamente, che non mettano in luce il rifiuto cristiano dell’idea del popolo eletto e delle sue implicazioni discriminatorie, per il Sella compiono dei cedimenti dottrinari in realtà anticristiani, e ciò accade anche con coloro che non mettano in evidenza la differenza tra il seguire il precetto della vendetta sistematica dell’ ”occhio per occhio dente per dente” propria della religione israelita, e l’importanza data all’amore nel culto cristiano. E’ molto interessante anche l’affinità tra l’idea cristiana del Cristo morto e risorto e quella pagana di vari dèi morenti e risorgenti, tra cui Dioniso. Questa commistione con culti salvifici pagani è per il Sella un frutto di ricchezza culturale dell’incontro tra Oriente ed Europa. Nel culto di Maria, madre di Gesù, viene poi ravvisata un’affinità con la spiritualità di una dea Madre, molto diffuso soprattutto nell’antico Mediterraneo indoeuropeo. In “Prima di Israele”, poi, Piero Sella mette in luce l’idea ebraica di dominio sulla natura, disgiunta però dall’amore per questa: ciò mentre soprattutto il paganesimo valorizza il valore spirituale della natura, che è qualcosa di vivo e non di morto ed inerte. Il Sella, inoltre, mette in rilievo l’importanza storica dell’alleanza tra numerose avanguardie dell’Islam rivoluzionario ed il Terzo Reich, in funzione anticolonialista, durante gli anni ’30 e ’40 (e l’alleanza comprese anche altri movimenti anticolonialisti, ad esempio quello di Chandra Bose, leader nazionalista indiano induista, il quale fu in buoni rapporti anche con un altro importante leader anticolonialista, il Muftì islamico palestinese El Husseini). Inoltre, nel volume del Sella viene evidenziata in modo magistrale l’espropriazione violenta della Palestina da parte di un’infima ma potentissima minoranza di stranieri ebrei, che in un primo tempo avevano cercato addirittura di comprare letteralmente la Palestina, ottenendo però il nobile rifiuto del sultano turco ottomano che all’epoca governava su quelle contrade. Ecco precisamente cosa rispose il sultano al sionista Herzl nel 1901: “Non posso cedere neppure un metro quadrato di terra perché non appartiene a me, bensì al mio popolo. […] Gli ebrei risparmino i loro milioni. Forse, quando il mio impero sarà smembrato, la Palestina la otterranno gratis. Ma faranno a pezzi il nostro corpo solo dopo che sarà morto; non acconsentirò alla vivisezione”. Così, il libro di Sella evidenzia l'abile mimetismo di tanti ebrei, con la diffusa abitudine di cambiare i cognomi ed anche di tradurli rendendoli spesso irriconoscibili: ad esempio molti ebrei, il cui cognome era Cohen, trasferitisi in Italia, nell'arco di una generazione tradussero questo cognome con "Sacerdoti". Gli esempi di questi cambi sono numerosi ed inquietanti, dando quale risultato che molti ebrei sembrino profondamente radicati in un territorio, mentre il più delle volte non è così. A volte cambi e traduzioni di cognomi non avvengono con una o qualche generazione, ma sono adottati da uno stesso individuo anche diverse volte nell'arco della vita. A questo proposito viene ad esempio citato il caso di Ugo Stille, apparentemente italianissimo, un tempo direttore del Corriere della Sera, e che in realtà si chiamava Misha Kamenetzky, ed era un askenazita (quindi un ebreo dell'Europa dell'Est), giunto al Corriere al seguito dei militari USA con la Seconda Guerra Mondiale. Ancora a proposito di questa tematica, in "Prima di Israele" è citato il libro "Ebrei erranti", edito da Adelphi nel 1987, scritto dall'israelita Roth, da cui viene riportato: "Non ci si meravigli dell'irriverenza degli ebrei nei confronti dei loro nomi. Con una leggerezza che risulta stupefacente essi cambiano i loro nomi, e così pure i nomi dei loro padri [...] Se uno si chaima Nachman e il suo nome è trasformato in un Norbert europeo, non sarà proprio "Norbert" il travestimento, lo pseudonimo? E' solo mimetismo o qualcosa di più? Il camaleonte sente forse pietà per i colori che deve continuamente mutare? L'ebreo in America scrive Greenboom anzichè Gruenbaum. Non si cruccia certo per le vocali mutate". Inoltre Piero Sella evidenzia il doppio ruolo ebraico nell'essere in prima fila nel capitalismo più abile ed allo stesso tempo di avere egemonizzato tanta parte del movimento bolscevico all'epoca della rivoluzione russa del 1917 (all'epoca gli ebrei erano in quel Paese attorno al 2% della popolazione, ma rappresentarono fino a molta parte dello stalinismo l'80% della classe dirigente bolscevica in U.R.S.S.). Sella svela inoltre la reale identità di tanta parte dell'antifascismo, in numerosi casi rappresentato da ebrei. Come si spiega questo doppio ruolo? La soluzione è per Sella data dal fatto che l'ebreo sia stato di solito sovversivo pro domo sua, nei Paesi dove veniva emarginato anche a causa di sue speculazioni capitalistiche e della diffusa pratica dell'usura: un esempio tra i tanti è dato dalla Russia della dinastia dei Romanov, connotata da una posizione decisamente non favorevole agli ebrei. Inoltre, Sella sostiene studi revisionistici sul nazionalsocialismo, specie nel periodo bellico, citando non poche fonti e con lo scopo di una base più scientifica e più rigorosa per la storia, ed illumina il ruolo tutt'altro che di vittima inerme rappresentato dallo Stato ebraico, realizzato anche con la complicità dell'Alto Commissario dell'impero coloniale inglese, Herbert Samuel, esponente della comunità ebraica in Inghilterra.... Inoltre, tra le tante circostanza simili, viene ricordato che nella prima guerra arabo-israeliana del 1948-'49, presentata solitamente come una vittoria di un David-Israele contro un Golia rappresentato dai militati siriani, transgiordani (in seguito detti giordani), libanesi ed egiziani (più alcuni contingenti irakeni e sauditi), ci fu però però, da un punto di vista numerico, lo scontro di 20.000 arabi contro 60.000 ebrei. I sionisti avevano inoltre l'appoggio del presidente americano Truman e del georgiano sovietico Stalin, ed avevano armi molto maggiori, fornite soprattutto dagli statunitensi ma anche, tra gli altri canali, da quello cecoslovacco, scaturito dall'infiltrazione, da parte di individui ebrei sionisti, del partito comunista cecoslovacco. La macchina propagandistica sionista ha inoltre generato una serie di autocensure in diverse persone anche razionali su altri argomenti, suscitando dei riflessi condizionati che inibiscono l'analisi di queste storie, che hanno bisogno di profonda libertà di pensiero e d'indipendenza di giudizio. Una vicenda che torna in mente a questo riguardo è quella in particolare dell'invasione israeliana del Libano del giugno-agosto 1982, quando i soldati ebrei uccisero circa 20.000 arabi, sia palestinesi sia libanesi, quasi tutti civili (dei quali circa 8000 palestinesi e 12.000 libanesi), ma i dirigenti israeliani presentarono quel crimine (condannato anche dalle Nazioni Unite), come un'autodifesa, denominando l'operazione "Pace in Galilea", cioè presentando l'invasione quale tentativo di difendere il Nord d'Israele (la Galilea palestinese) dai guerriglieri palestinesi, che cercavano di rientrare nella Patria dalla quale erano stati ingiustamente cacciati. Inoltre, in quei drammatici giorni erano avvenuti innumerevoli episodi particolarmente gravi, tra cui la distruzione da parte dell'esercito ebraico (guidato da Sharon) del campo palestinese di Ain El Halwy con bombe al fosforo, che aveva causato la morte di circa 1000 profughi palestinesi. Il modo con cui queste vicende vengono tristemente coperte dal vittimismo dei persecutori non deve purtroppo stupire, dal momento che i primi protettori d'Israele sono gli imperialisti americani, senza i cui aiuti Israele neppure potrebbe continuare ad esistere. Questi imperialisti neoconservatori non hanno evidentemente particolari problemi di coscienza, dati i loro modi spesso alquanto "spicci", che non si possono limitare a semplici "mele marce". Ecco una delle innumerevoli testimonianze in proposito, tratta questa volta dal giornale americano New York Times del 4 marzo 2004, e riferita a delle torture USA delle quali si è detto di meno rispetto a quelle ai danni degli irakeni: si tratta di quelle americane ai danni dei prigionieri afghani. Ecco un estratto del testo: "A Bagram l'uso della forza e dell'umiliazione è moneta corrente: i prigionieri vengono costretti a stare nudi in stanze ghiacciate, con le braccia sospese al soffitto da pesanti catene e le caviglie bloccate da anelli di acciaio". [Questo articolo è stato pubblicato sui seguenti giornali: Avanguardia, Rinascita, il Quotidiano di Caserta, Ciaoeuropa, La Civetta]