A proposito dell'informazione delle stagioni di Report: tra inchieste d'impegno ed eccessi di sensazionalismo
N ello stesso modo in cui lo stato delle carceri è un indicatore rivelatorio del livello di civiltà di un Paese, secondo quanto già analizzava in modo lungimirante l'illuminista francese Voltaire, così la qualità dell'informazione è come una cartina di tornasole dello "stato di salute" della società civile. Quando il giornalismo, soprattutto d'inchiesta, possa essere limpido e non inquinato dal servilismo verso il potere, oltre a non essere schiavo del sensazionalismo da audience, è, infatti, quindi certamente significativo. Al riguardo, grande interesse susciterà la nuova stagione di "Report", lo storico programma di Sigfrido Ranucci, la cui nuova stagione, prevista approssimativamente per l'autunno, potrà forse vedere il suo orario anticipato. Un anticipo, rispetto alla prima serata, che probabilmente non faciliterà maggiori ascolti, ad un orario meno facile da seguire per molti, forse ancora a lavoro, per una trasmissione già premiata in passato. Un anticipo previsto da parte di palinsesti RAI controllati da un governo che non ha mostrato particolare vicinanza a Ranucci, le cui inchieste spesso hanno riguardato anche membri del governo. "Non parlo della RAI perché voglio evitare un provvedimento disciplinare, dico solo che per la prima volta non vado alla presentazione di palinsesti": così aveva commentato lo stesso Sigfrido Ranucci, in forma semi-esplicita, aggiungendo: "L'affetto della gente che ho trovato in questi giorni non ha prezzo, mi ha fatto riconciliare con le scelte che ho fatto in questi anni, di privilegiare il pubblico come unico editore di riferimento, di essere rimasto me stesso, senza padrini politici, senza padrini tra i poteri forti. L'indipendenza è uno stato dell'anima". Obiettivamente il programma televisivo aveva avuto dei meriti per inchieste coraggiose, che potevano avere migliorato la conoscenza del senso generale di molte vicende; tuttavia, ultimamente era emerso un eccesso di sensazionalismo complottista, senza chiare prove, per cui non venivano sempre ben distinte ipotesi, anche improbabili, da dati di fatto: in un certo senso, dipendendo troppo dall'insidiosa tentazione di fare troppo spettacolo...tentazione pericolosa, come quella di chi, invece, asseconda troppo i poteri forti. L'auspicio è quindi che la nuova stagione della trasmissione potrà essere più libera anche da questi fattori di condizionamento. In passato, ad esempio, Report aveva approfondito diverse tematiche riguardo la cosiddetta "scarcerazione dei boss", in tempo di pandemia, nel 2020: una situazione dovuta ad un'emergenza sanitaria, e che era stata artificiosamente demonizzata, ingiustamente, da qualche altra trasmissione che voleva "cavalcare l'onda" della paura dell'opinione pubblica: ad esempio, "Non è l'Arena", di Massimo Giletti, con il rischio di omesso soccorso ai danni di persone che avevano bisogno di collocazione sanitaria esterna; in quel caso, invece, Report aveva giustamente distinto tra la presunta pericolosità sociale ancora attuale, di persone anche al 41 bis, e la questione del differimento della pena, che non c'entra veramente, cioè non ci deve entrare, perché la salute è primaria, e non c'è merito per essere curati o demerito per non essere curati, ma è corretto essere curati in modo più specialistico, a prescindere, anche fuori dal carcere quanto necessario. Tuttavia, in puntate più recenti Report di Ranucci si era avvicinato ed aveva toccato un sensazionalismo con eccesso di complottismo senza prove, ad esempio proprio su questioni relative al 41 bis ed in generale del carcere ostativo, oltre che su alcune tematiche relative a casi politico-giudiziari. Sicuramente una caduta di stile c'è stata, ad esempio, sull'enfasi riguardo l'ipotesi di un coinvolgimento del neofascista Stefano Delle Chiaie, addirittura nella strage di Capaci: una voce de relato (la “persona informata sui fatti”, Lo Cicero, in realtà non lo aveva realmente nominato), priva di riscontri di una sua eventuale presenza sul luogo dell'attentato, pochi giorni prima...una tesi più volte smentita, e definitivamente, dalla Procura di Caltanissetta: ipotesi non nuova, quindi, e che si era cercato di rilanciare, senza successo, in occasione dei trent'anni della strage di Capaci. Il fatto che la “Lega Nazionalpopolare” di Delle Chiaie cercasse di occupare lo stesso spazio politico che interessava anche ad alcuni mafiosi, interessati a cavalcare il meridionalismo, in un periodo di caduta dei grandi partiti, con lo scandalo “Tangentopoli”, non è certo sufficiente a fare pensare ad un’alleanza in questo senso. Riguardo il 41 bis, cambiando registro rispetto all’epoca della cosiddetta “scarcerazione dei boss”, pur di alimentare una polemica con il governo, Report a sua volta aveva attuato delle forzature, mettendo da parte l'iniziale garantismo... Da una parte, infatti, il governo Meloni aveva portato avanti una infelice e propagandistica difesa del carcere ostativo, in caso di non collaborazione con la giustizia, per reati contro la sicurezza dello Stato: un tipo di carcere chiaramente incostituzionale, in nome di una "guerra santa" all'eversione, non accettabile neanche per le più alte Corti d'Italia e d'Europa, che avevano condannato l'Italia al riguardo. In realtà, il governo Meloni aveva potuto prorogare solo per pochi mesi circa la vecchia normativa sul carcere ostativo, ma successivamente era stato costretto ad ammettere una legge che, pur tra alti paletti, ammette la possibilità di benefici, attenuazioni del grado d'intensità della pena, decidendo di caso in caso, in caso di non collaborazione con la giustizia, ovviamente con approfondimenti per cercare di appurare l'interruzione di legami connessi alla possibilità di eventuali nuovi reati. A quel punto, Report aveva presentato quella legge come più vantaggiosa per coloro che non collaborano che per quelli che collaborano, nonostante in realtà chi collabori nei fatti sconti molti meno anni di carcere, mentre chi non collabori, in caso di un ergastolo, possa potenzialmente ottenere benefici dopo 30 anni di pena espiata: nei fatti, quantitativamente rimane assai più svantaggioso non collaborare. Un'interpretazione unilaterale e faziosa, quindi, parziale, da parte del programma, che è emersa, successivamente, anche in altri servizi sulla giustizia, dove sono state gettate ombre senza prove e neanche indizi particolari, a proposito di risultati universitari brillanti di persone detenute nel regime di massima sicurezza 41 bis: un regime noto per le privazioni che impone, anche gratuite, e dove a tratti il confine tra sicurezza e disumanità si perde: in questo caso, Report aveva preso di mira uno dei pochi appigli positivi che potevano esserci tra i prigionieri, quello del diritto allo studio. Un diritto allo studio, peraltro, non favorito di certo dall'assurdo e vessatorio blocco dell'invio di libri ai reclusi (con il pretesto del timore della sostituzione di parola, peraltro superabile con controlli, astrattamente). Nonostante questo, ai carcerati potevano essere inviate pagine isolate di libri e se ne potevano fornire le biblioteche del carcere, per cui alcuni avevano approfittato dello spiraglio per studiare e laurearsi. Invece di criticare quella parte di Stato che dimostrava di "avere paura" dei libri, invece di plaudere a tale riscatto culturale, in quel caso Report di Sigfrido Ranucci si era invece concentrato su complotti inesistenti a favore dei prigionieri, che avrebbero visto componenti dell'Università favorirli in modo occulto... Inoltre, non era mancata occasione per cui Report aveva attaccato varie cooperative ed associazioni (tra cui "Nessuno tocchi Caino"), per avere aiutato detenuti ed ex detenuti, senza distinzione di colore politico, vedendovi anche qui un potenziale asse politico per finalità occulte, mai dimostrate neanche lontanamente; da parte di Report si era infatti rimarcato, tra le altre cose, quanto fossero divenuti collaboratori dei radicali gli ex terroristi, un tempo neofascisti dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, mentre uno dei maggiori dirigenti di "Nessuno tocchi Caino" fosse Sergio D'Elia, un tempo di una formazione di sinistra coinvolta nella lotta armata, Prima Linea. Veniva così demonizzata, ingiustamente, una maggiore libertà interiore, che aveva portato ad accogliere a prescindere dall'identità politica, nel caso ci si fosse ameno ritrovati su principi di lotta non violenta, oltre che nell'avversare la pena di morte ed il carcere, per principio. senza speranza. Eccessi di dietrologia per alimentare l'audience, inoltre, si sono verificati anche nel caso di tentativi di ricostruzione del caso Moro. Le perizie che dimostrerebbero che Aldo Moro non possa essere stato ucciso in via Montalcini e poi portato in via Caetani, delle quali aveva parlato Ilaria Moroni, direttrice dell'Archivio Flamigni, non esistono, in realtà, secondo quanto emerge dagli atti di ben cinque processi sul caso. Ad incoraggiare il complottismo vi era stata soprattutto la fondazione Flamigni, fondata dall'ex sentaore Sergio Flamigni, a suo tempo esponente del PCI a favore della "linea della non trattativa", appunto, destinataria di numerosi finanziamenti dal Ministero della Cultura, che cerca, così, di autoalimentarsi, dandosi uno scopo, nonostante la mancanza di elementi concreti. Eccessi di dietrologia per sminuire la forza di un movimento anti-sistema, di lotta armata, che invece fu notevole per consistenza e motivazione, nel cercare di cambiare le cose. Non a caso, nonostante l'inchiesta risulti finita con un "nulla di fatto", Report aveva intervistato l'ex procuratore generale Luigi Ciampoli, che aveva indagato lo psichiatra Steve Pieczenik, inviato in Italia dal Dipartimento di Stato USA, per concorso nell'omicidio Moro. Ricerche a "vuoto" sono risultate anche quelle del PM Eugenio Albamonte, finora, sul ricercatore Paolo Persichetti, che il gip aveva definito "Indagine senza reato", e che non è da escludersi probabilmente non ci sarà neanche in futuro. Certamente ci poteva essere stata un'ostilità USA, ed in particolare di Henry Kissinger, verso una linea più dialogante di Aldo Moro nel Mediterraneo, rispetto al mondo arabo, e può esserci stata una perversa "strategia della tensione" da parte di settori deviati della politica e dei servizi segreti, per favorire "opposti radicalismi", al fine di alimentare paura, e favore lo status quo, per consolidare il potere dei conservatori democristiani e dei loro padroni-padrini USA... tuttavia, da qui a minimizzare l'autonomia ed autenticità di un movimento antagonista italiano ce ne passa. Proprio in questa mancanza di equilibrio, probabilmente voluta, è divenuta tipica di Report. Mettendo in fila i vari elementi, emerge che un'ambiguità di fondo, sul caso Moro, dovuta ad oscure manovre di una certa politica, e non dalla drammatica ma lineare presa di posizione dei brigatisti rossi, che portarono avanti una linea anche di appoggio a movimenti antiimperialisti (in primis a quello palestinese, con contatti anche con la resistenza in Libano, in alcuni casi, secondo varie testimonianze); inoltre, la linea di opposizione netta all'imperialismo a stelle e strisce si era manifestata anche alcuni anni dopo, con il sequestro del generale americano Dozier, nel 1981, proprio da parte delle BR. Diversi altri, invece, i tentativi di alimentare una strategia della tensione, per creare timore, di estremismi di diverso colore politico, appunto, da parte di membri dello Stato: al riguardo, si può ricordare che, secondo una testimonianza proprio di Stefano Delle Chiaie, esponente un tempo della formazione neofascista Avanguardia Nazionale, addirittura negli anni '60 gli era stato chiesto, da un oscuro esponente dei servizi segreti, di "sequestrare temporaneamente" Aldo Moro: proposta rifiutata con un certo sconcerto, ma vari erano stati i sequestri temporanei da parte di militanti di Avanguardia Nazionale di esponenti politici avversari: qualcosa di spontaneo, in origine, certamente, ma che qualcuno aveva tentato invano di "cavalcare". Inoltre, tornando al sequestro Moro del 1978, certamente attuato contro un possibile consociativismo tra DC e PC, da parte di persone che ci credevano, era stato però strumentalizzato, questo sì, da persone dello Stato che purtroppo dettero un contributo "esterno" ad una fine tragica, che si auspicava assolutamente si potesse evitare, anche da parte dei vertici brigatisti: era stato rifiutato pure semplicemente di scarcerare qualche brigatista malato, in quanto atto simbolico, nonostante le strazianti e toccanti lettere di Aldo Moro, che cercava, in modo indubbiamente autentico, di alimentare una linea del dialogo... Aldo Moro che vari politici DC avevano tentato di fare passare per "ormai squilibrato", ingiustamente, e con un'interpretazione di comodo. In realtà, egli aveva compreso nel modo più lucido che non lo si volesse salvare, da parte di molti esponenti della stessa Democrazia Cristiana, che aveva intenzione di abbandonare, ed aveva deciso di aderire, in caso di liberazione, al Gruppo Misto, mentre, in caso di esito funesto, chiedeva che politici DC non fossero presenti al suo funerale… Un merito di avere portato avanti una linea del dialogo, per una trattativa tra le Brigate Rosse ed uno Stato non sempre in linea con la propria stessa Costituzione, vi era stata da parte del socialista Bettino Craxi, mentre, purtroppo, un'acritica linea dura era stata portata avanti dallo stesso PCI (che aveva tentato d'infiltrare le BR), e soprattutto dai DC Giulio Andreotti e Francesco Cossiga. Quello stesso Cossiga che anni dopo ammise torture fisiche ai danni di diversi brigatisti e che aveva invitato a picchiare studenti e professori che manifestavano pacificamente contro stravolgimenti della scuola, che la rendessero troppo simile ad un’azienda, con mentalità consumistica. In quel caso, Cossiga aveva inviato anche a infiltrare con agenti provocatori pronti a tutto, e liquidare il movimento, con una tecnica che ricordava gli anni di piombo. Per quelle dichiarazioni contro il movimento in difesa della scuola pubblica e del diritto costituzionale allo studio, nel 2008 Cossiga era stato denunciato per istigazione a delinquere e apologia di reato. Tornando al caso Moro, in particolare, erano state molto interessanti alcune dichiarazioni di Raffaele Cutolo, che, pur non collaborando con la giustizia, nel senso di non denunciare dei sodali, aveva però a volte reso delle dichiarazioni su persone già morte: in quel caso, l'ex boss della Nuova Camorra Organizzata (NCO) aveva dichiarato (e mai era stato smentito) di essere stato pronto a mediare con le Brigate Rosse una possibile liberazione di Aldo Moro, ma di essere stato fermato proprio da Cossiga. Del resto, lo stesso Cossiga, che era stato tra gli esponenti politici più vicini all’imperialismo statunitense ed a quello israeliano ed alle loro guerre di aggresione, aveva dichiarato che moralmente Aldo Moro avesse perso la vita a causa della propria volontà e di altri politici di un acritico fronte della fermezza. All'epoca, Raffaele Cutolo era in uno dei rari periodi di libertà, ed aveva rapporti d'interessi con la Banda della Magliana, che controllava varie zone di Roma. Inoltre, nonostante l'ultimo, indimenticabile periodo di libertà si fosse concluso nel maggio 1979, aveva conservato per alcuni anni un certo potere anche dal carcere, almeno fino al 1982, tanto che nel 1981 era riuscito a mediare tra lo Stato e la colonna napoletana delle Brigate Rosse (su richiesta di settori dello Stato stesso), ottenendo la liberazione del consigliere DC Ciro Cirillo. Anche in quel caso, il ruolo altamente ambiguo vi era stato da parte di settori dello Stato, che, imbarazzati dal fatto che l'accordo fosse stato portato alla luce da qualche elemento della camorra rivale, invece di ripagare con dei vantaggi già promessi, avevano invece relegato il prigioniero, ormai in rovina, in una delle carceri peggiori d'Italia, quella dell'Asinara, riaperta per l'occasione (un tempo era stata chiusa proprio dopo una rivolta brigatista). L’essere caduto in disgrazia del detenuto Cutolo, utilizzato a scaricato da settori deviati statali, si rivelò di lungo periodo: dopo un estenuante sciopero della fame, per il quale era stato vicino alla morte, era riuscito ad essere trasferito in un carcere più umano, ma anni dopo gli venne applicato automaticamente il 41 bis, che ebbe per il resto della detenzione, negli ultimi anni a Parma, fino agli ultimi mesi, trascorsi però nell’Ospedale Civile-Clinica Universitaria della città, fino al decesso per malattia, nel febbraio 2021. Tra l'altro, molti erano stati coloro che, per disagio sociale, transitavano tra NCO e BR, e che, nonostante i delitti, vedevano a tratti nella NCO un ordine di giustizia, e successivamente si erano politicizzati con le Brigate Rosse. Indubbiamente, quindi, due realtà molto diverse, ma tra le quali in alcuni casi si era creata una certa osmosi, su cui si era poi inserita una parte di Stato che aveva tradito i suoi principi e le promesse che di propria iniziativa aveva presentato. Per Aldo Moro, pochi anni prima, non c'era stato invece, appunto, pari impegno. Il fatto che liberare Aldo Moro, quindi, non convenisse, può essere reale, in questo può esserci del vero, in questo il programma di Ranucci fa bene a porsi questioni, ma quello che Report non evidenza accuratamente è che l'ambiguità partisse dallo Stato, e non dalle Brigate Rosse; del resto, anche la circostanza che fosse uscito il nome del covo di via Gradoli, teoricamente nel corso di una seduta spiritica (ma probabilmente a causa di un'informativa dei servizi segreti), e che il luogo non fosse stato cercato, dimostra addirittura il timore di ritrovare vivo un Aldo Moro che ormai aveva giustamente realizzato l'infamia di quella parte di Stato che non voleva una soluzione pacifica, incruenta...una parte di Stato non innocente, perché invischiato nella strategia della tensione e complice di politiche di aggressione guerrafondaie statunitensi. Indubbiamente è vero sia che ci fossero militanti che avevano realmente, in buona fede, il tragico progetto di lotta armata, di "colpire al cuore lo Stato", sia che una parte di Stato avesse realmente interesse di soffiare sul fuoco per rafforzare allarme sociale, per giustificare politiche repressive e di maggiore vicinanza all'imperialismo USA. Non a caso, pene per reati di terrorismo politico erano state aumentate e mai abbassate (tranne che per una piccola attenuazione, con il semi-indulto del 1990); pene che però non erano arrivate, va detto, agli estremi dal 1992 in poi, dove invece si era giunti a detenzioni ostative in caso di non collaborazione con la giustizia, quindi mancanza di attenuazione dei gradi d'intensità della pena. In quei casi, plausibilmente, i reati contro la sicurezza dello Stato erano stati considerati assolutamente sgraditi, senza più l'interesse a tentare di strumentalizzare situazioni, anche a prescindere certamente dalle intenzioni dei militanti. Il carcere ostativo, il cui principale strumento è il 41 bis dell'ordinamento penitenziario, è stato infatti utilizzato contro le mafie, dal 1992 (plausibilmente per la rottura di qualche patto tra una parte di Stato e le mafie, nel momento in cui si erano intensificati delitti contro figure istituzionali) e dall'inizio degli anni duemila anche per eversione politica, nei confronti delle Nuove Brigate Rosse, molto più recentemente nel caso, clamoroso dell'anarchico Alfredo Cospito, responsabile solo di atti dimostrativi, soprattutto contro il nucleare …"Non sono un sanguinario" aveva affermato al riguardo il militante, che in seguito ad uno strenuo sciopero della fame non era riuscito a farsi togliere il 41 bis, ma era però riuscito nell'intento di far riformulare la sua pena, che non era stata più l'ergastolo, nonostante una precedente situazione. L’impegno di Alfredo Cospito, ancora più che per sé, era stato per gli altri: “Ci sono mafiosi anziani e malati, che non uccidono più”, aveva affermato, ricordando che non voleva la tortura quantomeno mentale del 41 bis neanche per loro, aggiungendo che suo scopo fosse fare conoscere di più gli abomini del carcere ostativo e degli eccessi da 41 bis; misure, certamente, a tratti stridenti rispetto all’articolo 27 della Costituzione italiana, sul recupero orientativo dei detenuti. Tornando all'impostazione di Report, non è stata abbastanza focalizzata l'attenzione sullo stato d'animo di persone di una generazione che vedeva apparati statali non innocenti, dall'essere implicati in stragi e repressione, da Piazza Fontana in poi. Del resto, i brigatisti avevano realmente messo in conto di fare il carcere, ed avevano realmente vissuto decenni di carcere, quindi non si erano mossi per mera convenienza: segno di una opposizione comunque tangibile rispetto allo Stato, e non certo di un puro "gioco delle parti", come invece sembra quasi volere suggerire Report, che non tiene abbastanza conto che, invece, i drammatici fatti relativi al caso Moro e dintorni abbiano avuto moltissimi testimoni, anche tra magistrati e forze dell'ordine, peraltro, e che raccontano la stessa versione dei brigatisti. Si trattava, in effetti, di giovani di una generazione che purtroppo non era riuscita a trovare alternative alla violenza, per opporsi ad una realtà considerata di violenza di Stato, da cambiare radicalmente. Era questa la posizione espressa in diversi libri da Barbara Balzerani, deceduta quest'anno per una rapida malattia...posizioni analoghe, pur sostenute a "mano disarmata", attualmente, in altri periodi storici, da numerosi sostenitori degli ideali costituzionali, compresa la giustizia sociale. Libri di una persona che aveva pagato una pena di decenni, anche con un valore letterario, in cui rimane impresso un messaggio di speranza, da parte, appunto, di una persona vinta, ma non convinta del sistema imperialista capitalista: c'era sì una rivisitazione critica del passato, senza rinnegare determinate critiche al potere, espresse sempre non per guadagno personale, e non senza dolore, appunto non senza pietas per i morti di più parti: era addolorata anche per la morte di Aldo Moro, ma non aveva voluto compiere delazioni, anche perché il cosiddetto pentito giudiziario non lo è sempre nell'anima, con vera rivisitazione critica, e non lo fa gratis, ed era molto più non settaria di quanto si potesse ipotizzare: era convinta, ad esempio, dell'innocenza dei neofascisti Mambro e Fioravanti nella strage di Bologna del 1980, riguardo cui vari hanno presupposto le possibilità di responsabilità di vertici della massoneria deviate e servizi segreti a propria volta devianti. Nel 2018 era stato frainteso un suo commento in Facebook, nel quale voleva sottrarsi ad assistere alla retorica per il quarantennale della tragedia di Moro: non era un irridere alla vicenda, d’altra parte la storia non si celebra, si studia… ma purtroppo l'occasione era stata cavalcata da altri mezzi di comunicazione per fare spettacolo, ancora una volta, approfittando di eccessi di complottismo e facendo leva sulla crisi personale di chi metteva in discussione il proprio passato, ma non le malefatte di tutte le parti: ad esempio l'ex br Raimondo Etro, che aveva scritto di forze del male che dovevano ritrovarsi all'inferno, alludendo a presunte convergenze di troppo tra Stato e opposizione armata al potere statale: pur precisando poi di avere fatto riferimento all'inferno in terra, e non in senso religioso, non essendo peraltro un credente, traspariva la crisi personale di un uomo che paragonava l'utopia politica ad una "eresia cattolica", con il tentativo di rendere la terra un paradiso, anche con la forza. Di fronte a tali eccessi, pur nati da lacerazione e dolore personali, c'erano stati coloro che avevano giustamente riportato al vero senso le parole di Barbara Balzerani, ricordando di non considerare altro inferno che lo stato mentale di chi si piega alle ingiustizie e soprattutto non denuncia più quelle della parte più forte…certamente una parte diversa da quella scelta dalla Balzerani. Non confusione dovuta a crisi, ma un agire davvero cristianamente lo aveva avuto invece a suo tempo il cardinale di Milano, Carlo Maria Martini, noto per avere contrastato la violenza da più parti, e non una sola, e che aveva battezzato figli di vari militanti della stessa lotta armata di sinistra. Le posizioni di Barbara Balzerani, che sarebbe stato interessante che Report avesse approfondito, erano state espresse in pubblico ed in privato: avevo avuto modo di conoscerle ancora meglio tramite alcuni contatti, nati per motivi di approfondimento giornalistico, con la Balzerani, e rimasti in forma di dialogo privato, poiché era persona molto riservata, ma contemporaneamente aperta al confronto. Ancora a proposito della reale motivazione di tanti di una certa generazioni della necessità di opporsi frontalmente ad un potere considerato iniquo, eloquenti sono le parole con cui Mario Moretti, già ai vertici delle Brigate Rosse, arrestato nel 1981, dagli anni '90 in semi-libertà, aveva ricordato la stessa Barbara Balzerani, un tempo sua compagna sentimentale, e le sue motivazioni, interrompendo almeno per ricordarla il tradizionale riserbo con i giornalisti, in un ricordo in precedenza, inedito, espressomi in forma scritta: "Molte cose sono cambiate dagli anni settanta, due generazioni e un modo che è andato dove ben pochi prevedevano che andasse. Altre cose sono invece prevedibilmente degenerate rimanendo, nella sostanza, identiche a com'erano mezzo secolo fa. Il ricordo di Barbara è presente nella memoria e negli affetti di molti che l'hanno conosciuta nel corso degli anni. A me non sfugge la banalità del fatto che siamo invecchiati, e che certamente abbiamo fatto il nostro tempo, mi resta però l'immagine di quella ragazza che sorridendo e con entusiasmo ha cercato, insieme a tanti altri, la strada che era giusto tentare di trovare per andare oltre l'inaccettabilità del presente. Ad altri, ed in altre occasioni, il compito di guardare quegli anni attraverso la prospettiva storica necessaria, sarà questo ciò che conta e ciò che avrà valore per chi verrà dopo di noi. Chi può e chi vuole dia il suo contributo per lasciare traccia e testimonianza della nostra storia. Sembra un compito titanico, ma in fondo si tratta solo di raccontare come quando e perché, nel tortuoso percorso storico fin qui intrapreso, 'siamo passati anche di qua'. Noi c'eravamo, abbiamo visto e abbiamo fatto. A me piace ricordare, tra me e me, i compagni che ho conosciuto e che, come Barbara, se ne sono già andati, come erano quando condividevamo tutto in una militanza coraggiosa e felice, talvolta dolorosa, sempre limpida. Non è patetica e senile nostalgia della propria gioventù, è il privilegio di poter riconoscere in ciascun compagno di allora la sua bella singolarità in una storia che ci riguarda tutti collettivamente. Nonostante l'infinita prigionia, è forse l'unico impagabile lusso che mi posso permettere". Già in passato Mario Moretti, irriducibile delle Brigate Rosse, ma che aveva dichiarato da tempo la fine della lotta armata, aveva dichiarato, a proposito di caso Moro e motivazioni generali, a dei giovani di una scuola di giornalismo desiderosi di capire di più: "Potrò avere sbagliato tutto ma so di essere sempre stato dalla parte giusta: quella degli oppressi". Analogamente a Barbara Balzerani ed ai suoi libri, aveva affidato ad un libro, “Brigate Rosse-una storia italiana”, scritto assieme alle giornaliste Rossana Rossanda e Carla Mosca, e, in cui ricostruiva la militanza di tanti che, convintamente, avevano imboccato una tragica strada, per colpire la servitù agli USA e alle multinazionali, colpendo persone- simboli per fini politici…il che non rendeva, comunque, meno grave l’irreparabile, ricordava: la tragedia di quelle morti. Tornando al discorso di Report, quello che mancava era proprio il tentativo maggiore di contatto diretto con le persone più direttamente coinvolte in quei tragici eventi, parte indelebile della storia italiana e non solo. Certamente la responsabilità diretta, nel sequestro Moro, è stata delle Brigate Rosse, ma molti, nella politica, italiana ed internazionale, che avevano obiettivi indubbiamente opposti alle BR, hanno contributo ad impedire purtroppo una trattativa che portasse alla liberazione, con l'onorevole Moro vivo. Indubbiamente, quindi, Aldo Moro fu direttamente ucciso dalle Brigate Rosse, e non da altri, ma fu voluto morto assai di più da un "Fronte della fermezza", voluti soprattutto da politici DC e purtroppo anche del PCI, ansiosi di dimostrarsi estranei alle BR, che erano assai più propense, invece, a trovare una soluzione che non contemplasse l'assassinio di Moro, che da tali forze della "non trattativa", moralmente fu cinicamente immolato… UN PCI orami di sistema, in avvicinamento anche rispetto all'imperialismo NATO. Forse anche la constatazione che non fosse dovuta ai brigatisti l'accanimento a non trattare può avere portato alle sorprendenti e nobili posizioni di Maria Agnese Moro, di apertura verso i detenuti, anche politici, e contro il carcere senza speranza, rappresentato dall'ergastolo, soprattutto nella sua terribile variante ostativa: qualcosa che richiama il mettere un vivo come in uno stato d morte, quindi in una situazione molto simile; "l'ergastolo è come buttare via qualcuno, ed io non voglio buttare via nessuno". Una posizione davvero all'opposto di quelle parti di potere statale non sempre innocenti, e che non sanno mettersi in discussione; del resto, i crimini di Stato sono tutt'altro che rari nella storia, le stesse guerre mondiali ed i genocidi sono delitti dall'alto. Report avrebbe quindi potuto analizzare soprattutto tali aspetti, riguardo le motivazioni di più diretti protagonisti, invece di non distinguere tra ipotesi, anche le più non probabili, ed i dati di fatto, noti in superficie, ma con un ricchissimo contenuto umano… dalla profondità in parte insondabile, e certamente da conoscere di più. Il mistero più grande, invece di improbabili dietrologie per fare audience, può essere proprio dell'animo umano, che nonostante la presenza del male ricerca, sia pur nei modi più diversi, un mondo differente e migliore. Per una maggiore chiarezza ed obiettività storica c'è naturalmente da augurarsi che Report ed altre trasmissioni analoghe evitino altri eccessi di sensazionalismo, ed altri programmi abbiano maggiore spazio, per studiare meglio ( e non celebrare una parte, non sempre di pace e legalità costituzionale) riguardo gli anni di piombo, che tra la fine degli anni' ì60, gli anni '70 e soprattutto i primi anni '80 erano stati un periodo, più ancora che di terrorismo, di guerra civile a bassa intensità… Un periodo anche di tentativi di sovvertire l'ordine democratico, non solo dal basso ma anche dall'alto, d'insorgenze dalle fabbriche e non solo, sostenute da un blocco sociale-culturale e di repressione (ricordiamo l'articolo 90 che peggiorava il trattamento carcerario, tra i più noti prima del 41 bis). Un periodo che aveva portato a numerosi eventi che non dovevano accadere, ma che purtroppo erano avvenuti, anche a causa di una situazione di "democrazia bloccata" e di non trasparenza riguardo i fini del potere. Una situazione che fa comprendere quanto tante situazioni siano ancora attuali e da cambiare in meglio, per non essere indifferenti, anche in nome di una Costituzione ancora in parte da applicare davvero. [Questo articolo è stato pubblicato sul giornale on line "Caserta24ore"]