Iran

I l vero obbiettivo dell'aggressione angloamericana all'Irak non è soltanto il controllo politico, economico e militare di quella sfortunata terra, situata in una posizione nevralgica nella regione. Purtroppo, questa guerra ed il principio stesso della guerra preventiva vanno nella direzione del fare passare "il fatto compiuto", e procedere a nuove guerre imperialiste, senza colpo ferire. Nel mirino ci sono i governi "non allineati" alle politiche atlantiche, innanzitutto l'Iran, ma anche il Sudan, la Siria, Cuba e la Corea del Nord. Nel caso di quest'ultimo Paese, comunque, è apparso paradossale che gli U.S.A. abbiano tenuto però una posizione di relativo basso profilo: si tratta di un paradosso solo apparente. Molti si sono chiesti, infatti, perchè gli U.S.A. si siano accaniti nel volere la guerra contro l'Irak, che neppure aveva le paventate armi chimico-batteriologiche, mentre siano stati decisamente più moderati con il governo di Pyongyang: la questione è che questa nazione possiede già l'arma atomica, per cui questa ha un valore di dissuasione nei confronti di eventuali attacchi. In questo senso, gli Stati Uniti si sono dimostrati ancora una volta deboli coi forti e forti coi deboli. Anche in questo senso, è di vitale importanza la questione dell'atomica iraniana, e del suo possibile valore di scoraggiamento per eventuali attacchi a stelle e strisce. Certo, se fosse possibile sarebbe preferibile un mondo senza armi nucleari, che pendono come una spada di Damocle sul mondo, e rischiano d'ipotecare il destino di esserei umani, animali, natura. Tuttavia, in un mondo unipolare dove l'unica superpotenza rimasta assume contemporaneamente la funzione di pubblico ministero e di giudice nei confronti di chi si opponga ai suoi disegni imperiali, non si può non rilevare che la presenza di armi atomiche in mani di avversari delle politiche atlantiche abbia un positivo effetto di dissuasione. Infatti, un' eventuale guerra contro l'Iran sarebbe evidentemente una guerra nucleare, situazione non conveniente per nessuno. Lo scenario si è ulteriormente complicato con l'annuncio da parte di Al Qaeda di essere in possesso di una piccola bomba nucleare. Comunque, un altro argomento che potrebbe dissuadere gli statunitensi dall'attaccare l'Iran è la gestione fallimentare del conflitto in Irak, data anche la forza della resistenza popolare, dato ammesso anche dall'Institute of Policy Studies di Washington, che si può consultare a questa pagina web in inglese in Internet: http://www.ips-dc.org/iraq/failedtransition/index.htm . L'Iran è importante da un punto di vista petrolifero, ed è uno dei pochi Paesi del Medio Oriente ad avere tutt'ora la forza di avere rapporti autonomi con l'Europa. Anche per questo, l'asse Tel Aviv-Washington è nemico dell'Europa. Inoltre, l'Iran è in posizione centrale anche rispetto alla sua vicinanza con il Caucaso e l'Asia centrale. In Caucaso, infatti, gli Stati Uniti hanno cercato in particolare di destabilizzare la Georgia, supportandovi un governo filoamericano, in risposta alle istanze indipendendiste prevalenti in due regioni mussulmane che ambiscono a costruire Stati dei tutto indipendenti rispetto alla Georgia, e cioè l'Adzharistan e l'Abkhazia. Un terzo popolo mussulmano con le stesse aspirazioni di Stato del tutto indipendente rispetto alla Georgia è quello dei meshketi, che però fu deportato da Stalin in Uzbekistan con la motivazione della sua collaborazione coi nazisti, e tutt'ora risiede lì (in quell'occasione, e con la stessa motivazione, furono sradicati numerosi popoli, tra cui i ceceni, che poi però riuscirono a tornare). Il motivo per cui gli Stati Uniti si oppongono alle aspirazioni di Adzharistan ed Abkhazia è che queste regioni hanno manifestato la tendenza a gravitare attorno all'aea russa anzichè americana. Dopo l'intervento in Afghanistan gli Stati Uniti hanno acquisito il controllo di quella nazione, occupandola militarmente e facendovi insediare un governo a loro gradito. Gli americani si trovano così di fronte l'Asia centrale ex sovietica e la Cina. Il governo di Pechino si è opposto alla guerra all'Irak del 2003, ma il punto debole cinese è proprio quello energetico. Soprattutto, L'Iran è da un punto di vista spirituale strenuo avversario delle politiche atlantico-sioniste. L'Iran è infatti uno Stato tradizionale, antiliberista, gerarchico, organiscistico, il cui principale riferimento ideale e rivoluzionario è l'Islam sciita. Non si esclude che un possibile attacco all'Iran possa provenire da Israele, con bombe di profondità acquistate dagli stessi statunitensi. E' possibile inoltre che gli americani possano cercare di destrutturare la società iraniana dall'interno, sostenendo gruppi di opposizione, ufficialmente in nome di libertà e democrazia, nei fatti seguendo la solita prassi tristemente consolidata d'ingerenza per fini tutt'altro che umanitari. I principali gruppi di opposizione al governo degli ayatollah sono infatti il Mek (Mujahiddin-e-Khalq, in lingua farsi Muhahiddin, guerriglieri del popolo), i monarchici ed il Tudeh (partito comunista). I monarchici, con scarso seguito in Iran, sono espressione di una politica filo-occidentale, modernizzante, autoritaria e paternalistica, sono residenti soprattutto negli Stati Uniti, e vengono supportati per fini strumentali dai neoconservatori americani e dalla lobby ebraica. I comunisti, il cui movimento principale è il Tudeh, operano soprattutto in Inghilterra: sono antichi oppositori del regime dello Shah, sono contrari all'americanismo, ma si trovano in una posizione a rischio infiltrazioni ad uso e consumo degli atlantici. I Mujahiddin del Popolo fino a tempi recentissimi erano considerati un'organizzazione terroristica, responsabile di sanguinosi attentati. Ufficialmente, gli U.S.A. precludevano contatti tra il Mek e la C.I.A. . Naturalmente, però, quando è convenuto gli U.S.A. hanno cambiato rotta, ed ecco che C.I.A. e D.I.A. (Agenzia d'Intelligence della Difesa), secondo i più informati, hanno aperto canali di contatto con elementi del MEK nell'Irak occupato ed in Europa Occidentale, al fine di evitare influssi iraniani sul processo rivoluzionario irakeno. Ultimamente il confronto-scontro U.S.A.-Iran è diventato più serrato: sotto pressione di Washington, infatti, si è trascinata la questione dell'Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica), spinta dagli americani a portare la questione dell'atomica iraniana al Consiglio di sicurezza dell'O.N.U. . L'intento americano è di imporre sanzioni contro il governo iraniano. Il 20 settembre 2004 il negoziatore iraniano in materia nucleare, Rohani, segretario del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale, aveva respinto le provocazioni statunitensi, non avallando il documento dell'Aiea che invitava l'Iran a congelare le sue attività per l'arricchimento dell'uranio. Il problema è che lo stop a tali attività (richiesto da Inghilterra, Francia, Germania e soprattutto U.S.A.) veniva richiesto agli iraniani in modo unilaterale, mentre le armi atomiche prosperano indisturbate negli Stati Uniti ed in Israele (che non ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare). In particolare, la richiesta di cessare le attività con l'uranio suona particolarmente beffarda considerando l'impiego di uranio (questa volta impoverito), fonte di grave inquinamento e di danni alla salute per le popolazioni, impiegato dagli americani in Kossovo, Serbia, Montenegro ed Irak. Tuttavia, le posizioni antisioniste ed anti-americaniste, largamente maggioritarie nel popolo iraniano, non hanno tardato a farsi risentire, in particolare con l'imponente manifestazione di studenti a Teheran, che hanno sfilato presso gli edifici dell'organizzazione per l'energia atomica iraniana, scandendo slogan contro le ingerenze statunitensi ed ineggiando agli eroi storici sciiti, Alì ed Hussein. Con buona pace dunque dell'invadenza americana, l'Iran resiste e si ricompatta. Naturalmente, anche queste prove di guerra preventiva sono portate avanti in nome della democrazia: eppure, a parte il fatto che nei fatti il potere atlantico-sionista rappresenta un'oligarchia multinazionale, soprattutto non ha senso neppure parlare di valore della democrazia quando questa non vale per gli altri pure (ad esempio ignorando in modo antidemocratico il Consiglio di sicurezza dell'O.N.U. nel caso dell'attacco all'Irak). Inoltre, quando le pseudodemocrazie americana ed israeliana riducono la loro funzione solo agli "eletti" (nel caso sionista addirittura torture ed assassinii politici sono legali), e non pongono dei principi fondamentali che vengano prima, allora questa pseudodemocrazia diventa un'aggravante e non una qualità positiva. Infatti, quando si riduce la democrazia ad arbitrio della maggioranza razzista, è possibile approvare leggi inique (nel caso sionista manca addirittura una Costituzione su cui plasmare le leggi). Per di più, la responsabilità dei singoli cittadini in queste democrazie per soli eletti (e quindi false: anche il regime bianco sudafricano era democratico, ma per i soli bianchi), risulta ancora maggiore: in una dittatura tante cose possono essere imposte, mentre nelle democrazie elitarie è ancora più grave che i cittadini non si ribellino ed anzi avallino certi orrori. In questo modo, la pseudo-democrazia di stile sionista-atlantico, che così tanto si sta cercando di esportare, si è già dimostrata il più falso dei sistemi. [Questo articolo è stato pubblicato sui seguenti giornali: Avanguardia, Rinascita, Ciaoeuropa]



Antonella Ricciardi