Intervista ad Antonella Ricciardi

… “posso condividere del tutto, in parte o per niente il contenuto di un'intervista, e pubblicarla in tutti e tre i casi: l'intervista è innanzitutto una testimonianza, un documento, che integra fonti già esistenti, e diventa essa stessa una nuova fonte, per cui è importante che innanzitutto informi chi legga.”

(Antonella Ricciardi)



Giovanna Canzano

 

CANZANO - Scrivere e creare un blog personale per diffondere le proprie idee e il pensiero degli intervistati in modo autonomo, e pubblicare man mano gli articoli su vari siti giornalistici, ti dà la soddisfazione di esserci nel mondo ingarbugliato della stampa?

 RICCIARDI - Naturalmente il mio sito mi dà una certa soddisfazione, in quanto documenta un lavoro che è per me anche fonte di una maggiore realizzazione personale. Il blog nasce soprattutto dal desiderio di riunire in un'unica sede tutte le mie pubblicazioni giornalistiche: questo per fungere da vetrina delle mie attività, per aiutarmi ad avere eventuali nuovi contatti di lavoro, ed eventualmente anche per stringere nuovi legami con persone che possano avere degli interessi in comune con me. Un'altra importante motivazione della sua esistenza, che è stata la prima ad essere stata presa in considerazione da me per metterlo in piedi (grazie, devo dire, al consiglio di un amico), è stata che la sua presenza potesse essere risolutiva per evitare l'omonimia con un'altra collega giornalista, anch'ella della Campania. Certamente, però, il mio sito non è tanto dedicato a me, quanto agli argomenti che approfondisco, oggetto di studi specifici, ed alle persone che intervisto. Tranne pochissimi spazi di ambito non giornalistico presenti nel blog (in particolare, una pagina dedicata ad alcuni commenti dei lettori, che avessero qualche pubblica rilevanza, con diverse mie relative risposte), tutto il resto del sito riproduce mie pubblicazioni avvenute su testate giornalistiche di carta stampata e telematiche. Sotto ogni articolo ho specificato i giornali, ed in qualche caso le agenzie giornalistiche, su cui sia stato pubblicato.

 

 

 Il sito vuole dare anche una visione di insieme del mio lavoro, che è stato particolarmente dedicato al mettere in evidenza notizie rare, al fare maggiore luce su eventi spesso poco noti, ma che meritavano di essere molto più conosciuti. Nonostante nel sito siano state approfondite molte vicende riguardanti la Palestina e l'Iraq, cioè terre delle quali si parla molto, ma a volte molto male, io penso di avere messo in evidenza parecchie circostanze di solito in ombra, eppure fondamentali, dei conflitti che si svolgono in quegli sfortunati territori. Questo mio intento è ancora più evidente a proposito delle interviste, attraverso le quali ho cercato di fare conoscere maggiormente le aree politiche più emarginate e/o alternative, senza distinzioni di destra e di sinistra, e di comprenderle ancora meglio anch'io. Queste, dunque, sono le motivazioni fondamentali per cui secondo me l'esistenza del sito ha un senso ed è fonte anche di soddisfazione. Naturalmente, però, non proprio tutto lì risponde a questo schema, dato che alcuni pezzi mi sono stati commissionati da altri e li ho portati a termine per dovere. La stragrande maggioranza degli articoli, però, è stata composta di mia iniziativa, e poi proposta ad uno o più giornali, a proposito dei quali già intuivo che, per motivi tematici e di linea, potessi farvi riferimento; in diversi casi, poi, l'argomento di diversi articoli è stato condeciso con alcuni direttori.



Antonella Ricciardi

 CANZANO - Nel terzo millennio, dove, le parità e i diritti individuali sembra che non riguardino più nessuno e, con l'islam che avanza sempre di più nel nostro continente con sempre più donne velate in giro per il nostro paese, tu come donna, ti senti garantita sia come giornalista che come cittadina globalizzata?

 RICCIARDI - Nella mia vita privata e professionale ho incontrato anche persone che avevano atteggiamenti maschilisti, ma non mi sono mai accaduti episodi gravi connessi a questo, che inficiassero il mio lavoro o anche solo che mi dessero qualche preoccupazione particolare. Nel mondo del lavoro penso di essere stata pienamente rispettata nella mia libertà di scelta dai direttori (uomini) che ho avuto; anche con gli intervistati (in gran parte maschi), che fossero di destra o di sinistra, cristiani o musulmani, non ho avuto problemi particolari. A dire la verità, gli uomini con un qualche particolare atteggiamento maschilista che ho incontrato nella mia vita personale spesso, secondo me, assumevano determinati modi di porsi per mascherare la propria insicurezza: erano cioè spavaldi e contemporaneamente fragili... Detto questo, non nego però che esista un problema di questa natura, in Italia e nel mondo. A mio parere, non c'è un particolare pericolo legato alla presenza di musulmani in Italia riguardo questioni di costume, anzi penso che l'imperialismo culturale sia molto più quello occidentale, che tende a trasferirsi, a volte addirittura militarmente, in alcuni dei loro Stati (senza dimenticare, però, che erano occidentali anche quelle stragrandi maggioranze di cittadini che a ciò si sono dimostrate contrarie). Alcuni occidentali stanno in dei Paesi arabo-musulmani, degli arabi-musulmani vivono in Occidente: con la differenza, però, che i primi sono arrivati in quelle terre per muoversi lì da padroni... anche qui, però, bisogna distinguere i popoli dai governi, considerando che la netta maggioranza degli europei non voleva ciò. Ti sono comunque particolarmente grata per la domanda, che mi permette di spaziare un po', venendo di più nello specifico all'Islam, e quindi a un argomento affrontato frequentemente anche nel mio lavoro... Sulla questione del velo, io penso che sia un errore sia l'imporlo che il proibirlo nei luoghi pubblici: entrambe le cose sono accadute in diversi Paesi musulmani (per esempio, rispettivamente, in Iran e in Turchia). Esistono tuttavia parecchi Paesi islamici dove portare o meno il velo è una libera scelta (a parte possibili pressioni familiari). Nella Tunisia che ho conosciuto personalmente, ad esempio, circa metà delle donne che ho avuto modo di vedere si muovevano a capo scoperto. E' importante ricordare che il velo non è prescritto dal Corano, che semplicemente raccomanda un abbigliamento decente. Il velo viene quindi indossato quale simbolo di un atteggiamento composto, morigerato, rispettoso di sè e degli altri. Tuttavia, il velo è per certi aspetti anche e soprattutto parte della moda locale, più semplicemente. Da noi c'è una maggiore varietà nelle possibilità di abbigliarsi, però anche noi in fondo obbediamo a dei canoni: se io volessi uscire per le strade della mia città indossando ad esempio un sari, il modello degli abiti tipici delle donne indiane (che pure sono bellissimi), verrei presa per una che si fosse vestita per il Carnevale... Esistono poi vari tipi di velo: certamente infatti sono molto diversi tra loro l'hijab (una specie di semplice foulard, di solito bianco), il chador (un abito nero col quale viene coperta anche la testa), il famoso burqa (che peraltro non è diffuso nei Paesi arabi, ma soprattutto in Afghanistan, e, in modo molto minoritario, in Pakistan e Kashmir)... L'usanza del velo in Arabia era diffusa già in epoca preislamica, e varietà di velo non di matrice musulmana esistono anche in altre parti del mondo: ad esempio il velo compreso in certi sari indiani, diversi copri capi in uso nella Sardegna rurale, ecc.... Alcuni tipi di velo sono anche ornamentali, conferendo un atteggiamento composto, simile a quello di una Madonnina, alla donna che lo indossi. Anche S. Paolo consigliava alle donne cristiane di coprirsi il capo, anche se tale costume non è mai diventato usuale nel Cristianesimo. Guarda, se io fossi al posto delle donne musulmane non indosserei però il velo come una divisa, cioè sempre: questo perchè penso che, detto senza animosità, gli uomini (che siano europei o arabi non cambia moltissimo), per lo più non lo meritino: nel senso che effettivamente quel tipo di abbigliamento può stimolare degli atteggiamenti più morigerati, nella donna e nell'uomo, e contemporaneamente in parte nasconde la bellezza delle donne...tuttavia, per quello che ho potuto vedere, di solito gli uomini, europei e arabi, non disprezzano mai fino in fondo le donne anche molto "facili", superficiali, per cui secondo me non vale la pena, a maggior ragione, di sacrificarsi troppo per fare piacere all'altro sesso. Certamente esistono delle donne oppresse da un potere maschile in dei Paesi musulmani, ma è giusto non confondere le società patriarcali con l'Islam tout court. Quella stessa oppressione esiste anche, simile e diversa, in moltissimi altri Paesi del mondo: ricordo ad esempio un libro molto bello che raccontava la storia vera di Phoolan Devi: era una donna indiana, induista (quindi appartenente ad un'altra cultura molto antica e con degli aspetti anche alti), divenuta brigantessa per combattere le ingiustizie che aveva subito per motivi di casta e di genere. In questo libro si narrava, ad esempio, che in dei villaggi contadini dell'India una donna non sposata dovesse parlare solo con gli uomini della sua famiglia, in attesa delle nozze (di solito combinate dalle famiglie). In Europa esiste maggiormente un altro tipo di maschilismo, invece, che, pur di solito non costringendo materialmente a determinati atteggiamenti, non è meno pervasivo: quello che propone la donna oggetto, quello del consumismo sentimentale e sessuale. L'emancipazione che viene incoraggiata è spesso quella dal sentimento, proponendo alla donna modelli prevalentemente maschili di comportamento, che secondo me non vanno esattamente in direzione dell'evoluzione, nel senso di elevazione dell'essere umano.

 

 CANZANO - Nell'universo internet si trova di tutto, tu per i tuoi intervistati ti rivolgi ad esso o, hai criteri di scelta diversi da quelli che oggi ci offre l'informazione on-line?

 RICCIARDI - Ti comincio a rispondere precisando che a volte scelgo io gli intervistati (ed è così nella maggior parte dei casi), altre volte mi viene chiesto di intervistare qualcuno, da dei direttori ed a volte da amici della persona che si vorrebbe che io intervistassi; in altri casi ancora (minoritari, ma di poco), sono coloro che desiderano essere intervistati che mi chiedono la possibilità di un'intervista. In parte riesco a contattare le persone che poi intervisto proprio attraverso la rete Internet, altre volte i recapiti mi vengono invece dati da direttori, da altri giornalisti, interessati a quelle pubblicazioni; in altre occasioni la possibilità di contatto mi viene resa possibile da conoscenze comuni, da persone che sono interessate al fatto che l'intervista avvenga. Mi dicevi giustamente che in Internet si trova di tutto: suppongo sia un riferimento al contenuto delle risposte nelle interviste. Ti premetto che io posso condividere del tutto, in parte o per niente il contenuto di un'intervista, e pubblicarla in tutti e tre i casi: l'intervista è innanzitutto una testimonianza, un documento, che integra fonti già esistenti, e diventa essa stessa una nuova fonte, per cui è importante che innanzitutto informi chi legga. Umanamente certo preferisco intervistare persone con le quali ci sia un'affinità... in questo senso, nel mio lavoro non ho fatto differenze di colore politico, e, quando ho potuto, ho offerto maggiore spazio a persone che sostenevano temi anche da me condivisi: ad esempio a favore dell'autodeterminazione dei popoli, per il rispetto delle minoranze, contro i vari tipi di imperialismo e di guerre di aggressione, per il socialismo, per la salvaguardia della natura e degli esseri spesso più indifesi, gli animali.... Queste impostazioni vengono di solito supportate nelle aree radicali sia di sinistra che in quelle dette di destra, socialiste nazionali... (a seconda delle sfumature, dei gruppi cui la denominazione è riferita). Non accetto di pubblicare dati oggettivamente falsi, quando li si voglia fare passare per obbiettivamente veri: questo è cosa diversa dal fare ipotesi, legittime, anche se ipotetiche, che contrastino con la versione più diffusa di certi eventi. La tendenza di quel tipo alla menzogna per me è invece anche patologica: è secondo me pari al volere fare passare per vivo un morto, dopo averlo visto morire.... sono sempre stata contraria al settarismo di sinistra (pur potendo pubblicare senza problemi interviste anche a questo tipo di persone, che a volte hanno però, per altri aspetti, anche alcuni begli ideali), ma devo dire anche che detesto coloro i quali amano il nazifascismo non per quello che realmente fu, con le persone che vi aderirono per ragioni ideali e con dei criminali crudeli che certamente vi si accodarono, ma proprio per l'immagine che ne dà tanta parte dei mass media: quella di male assoluto. Insomma, naturalmente io non pubblico chi afferma cose aberranti, ingiuriose, gratuitamente ed anche volendo fare passare circostanze false per vere: un caso del genere nel mio lavoro però è un unicum, nel senso che di solito non succede. Esistono comunque persone (anche se sono una piccolissima minoranza, e non contano affatto) che per una particolare perversione amano proprio l'immagine mostruosa che si dà di una certa ideologia: a questi non voglio fare da cassa di risonanza. Li vedo simili a persone che hanno tutto il mio disprezzo, cioè ad esempio ai maniaci del Circeo, a Ludwig, a quelli della Uno Bianca, che uccidevano donne indifese, i vari tipi di "diversi" e persone emarginate: barboni, zingari, neri, prostitute, ecc... Una cosa è la critica (giusta, sbagliata, o almeno in parte opinabile che sia, ma certo legittima) ai membri di altri popoli e delle minoranze di vario genere, un altro è l'accanirsi contro i diversi in quanto tali: questo è ripugnante, e, quando scelgo a chi fare interviste, ti dico che questo genere di persone da intervistare non mi interessa. Amo chi abbia un certo senso dell'onore e che, se anche sbagliasse su qualcosa, almeno lo facesse essendo in buona fede. Può essere certo utile pubblicare certe idee di qualcuno anche per denunciarle, senza dubbio, però in quei casi io preferisco una forma diversa da quella dell'intervista.

 

 CANZANO – Nel tuo lavoro da giornalista, come giovane donna del sud, trovi ostacoli per entrare nella visibilità della stampa nazionale e con il confronto con le ‘grandi firme’ delle donne giornaliste italiane?

 RICCIARDI - Guarda, sicuramente incontro delle difficoltà ad entrare nella grande stampa nazionale: penso che ciò però dipenda da fattori per molti aspetti diversi da quelli dell'appartenenza al genere femminile. Precedentemente abbiamo discusso delle condizioni delle donne musulmane, di quelle del Sud del mondo... io sono italiana del Sud, nominalmente sono cattolica, ed a mia volta incontro delle difficoltà di rilievo, pur avendo collaborato con oltre venti organi giornalistici, di carta stampata e telematici. Le minori opportunità derivano, secondo me, maggiormente dalla mia collocazione geografica, di origine ed attuale: stando in provincia, vengo a contatto con meno poli di attrazione, con un numero minore di testate giornalistiche che trattino determinati argomenti sui quali io possa essermi fatta notare di più. Anche l'opzione del trasferimento in una grande città è in parte aleatoria, dato che lì si trovano di solito certi posti già occupati da dei residenti nelle metropoli. Ritengo che lo stare in provincia, del Nord o del Sud, possa a volte creare maggiori problemi che l'abitare nel meridione in genere, dove peraltro è più diffuso il laurearsi che nel settentrione. Pur essendo io laureata con lode, penso (almeno per il momento), ad esempio, che non mi convenga fare fruttare questa Laurea col Giornalismo... la Laurea (in diverse Facoltà) è necessaria per i giornalisti professionisti, che diventano tali per concorso: io sono giornalista pubblicista, e, se vincessi il concorso a professionista, poi potrei dedicarmi solo a questo lavoro, perchè si è ragionato che quella di giornalista professionista sia una competenza così specialistica da non essere ben conciliabile con altre attività lavorative. Tuttavia, nel Giornalismo sono così diffusi lo sfruttamento, il lavoro nero, il precariato, che penso che non convenga, tranne che se non ci si sia molto affermati, approdare a questo grado sì superiore, ma che non lasci aperte anche altre strade. Insomma, attualmente, anche per chi è iscritto all'Ordine dei Giornalisti, che sia pubblicista, professionista... spesso non sono garantite una paga e/o una paga decente. Non mento dicendo che spesso si giochi sul fatto che quello giornalistico sia un ambito molto ambito, per cui molti, pur di esserci, accettano condizioni altrimenti inaccettabili. Il problema è anche che ciò che sembra un compromesso provvisorio tenda poi a diventare definitivo. Inoltre, molti piccoli giornali, realmente più di pregio e indipendenti di tanti altri, davvero possono avere difficoltà a retribuire i propri giornalisti, mentre quelli più grandi spesso sono meno liberi, perché compromessi con certe consorterie politiche. A mio avviso è meglio quindi integrare il Giornalismo con qualche altra attività, ad esempio l'insegnamento nei Licei classici e scientifici, ecc..., invece di puntare su un solo obbiettivo. Una buona idea può essere anche quella di aprire un proprio giornale, per non dipendere molto dagli altri: questa è una opzione possibile a noi iscritti all'Ordine. Riguardo il confronto con le grandi firme femminili del Giornalismo, secondo me spesso il discrimine tra chi lavori nella stampa ad alta tiratura e chi in piccole pubblicazioni non sta nell'essere uomo o donna, ma in quello che si scriva... Naturalmente una donna può avere non poche difficoltà in più nella professione se è anche moglie e madre, dato che avrebbe in realtà un'attività da portare avanti anche a casa, ma questo accade per tutte le donne in questa situazione che lavorino fuori casa (anche se ci sono attività che lasciano relativamente più tempo libero di altre: ad esempio, proprio l'insegnamento). Approfondendo l'argomento sul contenuto di ciò che si scriva, devo dire che, premesso che ci sono diversi colleghi giornalisti della grande stampa bravissimi, molti invece hanno trovato delle porte più aperte perchè particolarmente disponibili all'autocensura, al conformismo, al compromesso con i poteri forti, al seguire la corrente. A mio parere non è segno di alta professionalità il seguire acriticamente il flusso della corrente o presunta tale, anche non di rado assecondando gli istinti più bassi e mediocri di un certo pubblico: è invece bello cercare anche di proporre degli argomenti a chi ci segua, cercare di mostrargli perchè possano essere interessanti, che possa essere una forma di altruismo e quindi di evoluzione il prendersi a cuore le storie di coloro che non si conoscano personalmente. Nei miei articoli spesso ho affrontato temi "scomodi", da prospettive "scomode", ad esempio riguardo la lotta del popolo palestinese: è quindi naturale, purtroppo, che questo tipo di pezzi abbia più difficoltà ad inserirsi sulla stampa ad elevata diffusione. Ho avuto comunque tutti direttori molto preparati, che pur non essendo direttamente parte in causa in questa questione ed in altre affini, non essendo arabi nè ebrei, ecc..., hanno seguito il mio lavoro con attenzione e fiducia, lasciandomi in sostanza la massima libertà di espressione. E' anche difficile che certe pubblicazioni minori, ma pure a discreta tiratura, diventino più conosciute, data l'abitudine di evitare di mostrare nelle rassegne stampa diversi di questi giornali alternativi, anche se vi vengono inviati a questo scopo. Nella società attuale soprattutto lo sviluppo dei giornali on line apre però prospettive più positive e fiorenti, dato che in questo modo è più facile accedere a determinate fonti ed a fare pervenire notizie preziose ed altrimenti di rara diffusione a delle moltitudini.

 

 

 BIOBIBLIOGRAFIA:

Antonella Ricciardi, nata a S. Maria Capua Vetere (provincia di Caserta) il 7 gennaio 1979, è laureata in Filosofia con 110 e lode all'Università Federico II di Napoli, ed è giornalista pubblicista. I suoi articoli sono stati pubblicati dai seguenti organi giornalistici, con cui ha collaborato e collabora: Altrasinistra, L'altra voce, Rinascita, Avanguardia, Orion, il Quotidiano di Caserta, Ordine Futuro, Ciaoeuropa, Caserta 24 ore, Corriere di Aversa e Giugliano, Deasport, Comunitarismo, RNN [Rojname News Network (testata curda in nove lingue)], Casertanews, Dea Notizie, Giustizia Giusta, la nuova Gazzetta di Caserta, Calvi Risorta News, Il Popolo d'Italia, ABC flash-Paris , Romstampa, ICN-News (International Christian Network). Tra le sue interviste a personaggi più noti ve ne sono, tra le altre, ad Alfonso Pecoraro Scanio, ad Erich Priebke, due ad Alessandra Mussolini, a Giovanni Di Stefano (avvocato di Saddam Hussein), a Fatma Salih Uthman (attivista curda), a Sammi Alaà (esponente dell'Alleanza Patriottica Irakena), a Stefano Delle Chiaie, a Marco Ferrando.


[Questa intervista è stata pubblicata sui seguenti giornali: Dea Notizie, Caserta24ore, Corriere di Aversa e Giugliano, Iniziativa Meridionale, Qui Calabria, Italia Sociale, Ciao Europa]



Antonella Ricciardi , 9 ottobre 2007