Intervista di Luigi De Martino ad Antonella Ricciardi |
DE MARTINO:
“Come nasce il tuo interesse per la Palestina ?”
RICCIARDI: "Veicolo del mio interesse particolarmente sentito per la Palestina è
stata una persona. Infatti, da ragazzina adolescente (avevo 13 anni), avevo
letto un articolo-intervista, su un giornale ormai vecchio, allora, di quasi un
anno… giornale che avevo conservato perchè ero interessata fondamentalmente a
numerosi altri servizi di natura culturale in esso contenuti.
Il servizio cui faccio riferimento riguardava la storia di un giovane
palestinese, condannato per terrorismo in Italia in seguito ad un reato avvenuto
quando era ancora minorenne: si trattava di Bassam Al Ashker, il quale, all'età
di 17 anni, era stato uno dei responsabili del sequestro della nave italiana
Achille Lauro, nel 1985. Quello che mi ha colpita è stata la circostanza che
fossero vere sia la considerazione che il sequestro della nave fosse stato un
atto sbagliato, condannabile, perchè aveva coinvolto dei civili non
personalmente responsabili del dramma palestinese, sia che in questo ragazzo
fossero presenti reali elementi di abnegazione per la causa del suo popolo, di
eroismo, addirittura, nell'essere stato pronto a morire per amore di altri
(avevo del resto saputo in seguito che Bassam aveva già lasciato una lettera
d'addio alla sua famiglia): il progetto originario di quei fedayn (combattenti)
palestinesi non era infatti quello di sequestrare dei civili, ma di usare quel
transatlantico in quanto mezzo di trasporto per raggiungere un porto israeliano
e compiere lì un'azione di guerriglia contro dei soldati israeliani... contro,
quindi, un obiettivo militare, e con il rischio molto alto di essere poi uccisi.
Sentitisi però scoperti da un cameriere, che sospettavano avesse visto che
avessero con loro delle armi, quei palestinesi così presero possesso
dell'Achille Lauro.
Ora, tornando più specificamente all'articolo, questo aveva a volte un tono un
po' vicino al'ironia, ad esempio definendo Bassam "maldestro terrorista
palestinese", dato che questi si era, appunto, sentito scoperto da un lavoratore
della nave, e così via; nello stesso tempo il testo dell'articolo, pur essendo
stato scritto dal giornalista del caso, Claudio Bernieri di "L'Europeo", in modo
interessante, che riusciva ad attirare l'attenzione, (e pur sottolineando
giustamente la solitudine prevalente per Bassam, nonostante diverse persone lo
avessero aiutato e lui le avesse apprezzate) aveva secondo me un tono un po'
provinciale, riducendo, in modo unilaterale, la situazione di Bassam, che aveva
in quel 1991 ottenuto la libertà vigilata, ad una vicenda soprattutto italiana,
nel quadro di un sistema giudiziario, quellodell’Italia, che l'articolista
tendeva a guardare con una certa criticità e diffidenza, considerandolo
esplicitamente troppo "lassista" con chi fosse stato condannato; tanto per fare
solo un esempio tra i diversi possibili, riporto che era chiaramente ironico il
titolo stesso del servizio, che suonava così "Sequestrò l'Achille Lauro?
Liberiamolo subito"...
Io credo, invece, che quella storia andasse molto oltre la cornice italiana
nella quale in quel momento era stata confinata, e che dallo stesso testo
emergesse, nonostante quella impostazione, la verità su un giovane che, pur
avendo sicuramente sbagliato nell'essersi reso responsabile del reato per cui
era stato condannato (cosa che Bassam stesso aveva ammesso, pur non essendo
divenuto un "pentito giudiziario" nel senso di delatore), era però anche una
persona che, nata profuga e in esilio, si era mossa per degli ideali alti... Si
trattava, cioè, di un giovane con una propria sensibilità, che scriveva poesie
ed era gentile con tutti quelli che incontrasse... insomma, Bassam era
certamente una realtà da non distruggere, per cui, secondo me, era stato giusto
l'averlo aiutato... Per questi motivi, mi sono chiesta che cosa avesse potuto
portare un ragazzo così, peraltro non lontanissimo da me per età, a vivere una
tale disperazione che lo aveva condotto a rendersi responsabile dell'atto per il
quale era stato condannato: questi interrogativi mi avevano, così, spinta ad
interessarmi della Palestina, cosa che non si è dimostrata una "curiosità"
momentanea, ma è stata, invece, un interesse profondo che è divenuto, in un
certo senso, parte di me”.
DE MARTINO: “ Come è nata l’idea di scrivere il libro?”
RICCIARDI: "L'idea del libro è nata dopo che avevo già dedicato, in quanto
giornalista, diversi e dettagliati articoli alla causa palestinese. Inoltre,
avevo studiato questo argomento pure per la mia tesi di Laurea: tale esperienza
mi ha insegnato a curare ancora di più l'indicazione delle fonti, che pure nei
pezzi giornalistici non mancavano, ma che venivano segnalate in maniera meno
organica e dettagliata.
L’opera ha proprio la sua struttura portante in tutta una serie soprattutto di
fonti, soprattutto israelo-sioniste, ma anche italiane ed internazionali,
riportate senza distinzioni di colore politico, che documentano le espulsioni,
le discriminazioni e le stragi ai danni dei palestinesi. In particolare, a
proposito delle fonti ebraiche, posso dire che alcune di queste sono di denuncia
di tali crimini, soprattutto nell'ambito di un nuovo filone più obiettivo di
storiografia israeliana, detto "revisionista", ma molte di più sono di natura
addirittura rivendicativa nei confronti di tali efferatezze, nel senso che gli
autori di tali misfatti li ammettevano senza giri di parole, in un certo senso
vantandosene. Ti faccio un solo esempio a questo proposito, ma nell'opera ce ne
sono parecchi altri...ecco questa dichiarazione di Ariel Sharon, all'epoca
ministro degli esteri israeliano, in una dichiarazione resa ad una riunione di
militanti del partito ebraico di destra “Tsomet” , riportato dall'agenzia France
Press, il 15 novembre 1998: "Non c'è sionismo, colonizzazione o Stato ebraico
senza lo sradicamento degli arabi e l'espropriazione delle loro terre" “.
DE MARTINO: “Sei alla tua prima esperienza come scrittrice?”
RICCIARDI: “Sì, questo è il primo libro che ho scritto. Preferisco dedicarmi
a certe attività solo quando sono molto convinta di queste, per cui ho voluto
dedicarmi a questa forma di scrittura solo dopo avere studiato nel modo più
approfondito questa tematica, e solamente dopo averne maturato una visione
abbastanza personale da convincermi che potesse essere il caso di comunicarla in
questa forma. Insomma, non mi piace parlare a vanvera, e neppure, in senso
ampio, comunicare a vanvera, e neanche avrei fatto chissà cosa pur di pubblicare
qualcosa, anche perchè, in quanto giornalista, ho già attuato veramente
parecchie pubblicazioni di miei scritti, per cui le mie soddisfazioni le avevo
già avute in questo senso, sia pur in maniera diversa. Tuttavia, il libro "Palestina-una
terra troppo promessa" secondo me aveva dei motivi veramente validi per
esistere, perché ha comunque qualcosa di differente dagli articoli e dalla tesi:
contiene elementi nuovi di rilievo, e soprattutto fornisce una visione ancora
più chiara e d’insieme della vicenda.”
.
DE MARTINO: “ Per la pubblicazione della tua opera hai fatto ricorso ad una
casa editrice meno nota…, per qual motivo? Perché forse le case editrici, più
conosciute (si fa per dire) dato il clima filo sionista si sono rifiutate di
pubblicarlo, oppure è stata una tua precisa scelta, ed in caso affermativo,
perché?”
RICCIARDI: “L'opera non è stata rifiutata da altri editori, perchè l'ho proposta
direttamente alla casa editrice Controcorrente; si è trattato, quindi,
effettivamente, di una mia precisa scelta. Questo poichè conoscevo già
determinate caratteristiche "ideologiche" del mondo editoriale. Ho scelto la
Controcorrente sia perchè dà il giusto spazio e sostegno ai movimenti di
liberazione nazionale dei popoli oppressi, ha una visione critica contro
determinate forme di imperialismo e di capitalismo esasperato, che perchè non è
settaria, consentendo spazio a temi ed autori validi al di là delle provenienze
politiche. Dato che la stessa impostazione del mio volume ha sì precise
connotazioni ideali, ma esprime pure l'amore per la libertà (di coscienza, di
pensiero, di azione) sulle più diverse situazioni, ho pensato fin dall'inizio
che la Controcorrente fosse la casa editrice adatta.
Su determinati temi, poi, a volte una casa editrice meno nota consente, in
compenso, maggiore libertà nell’esprimersi per gli autori. Comunque, pur non
essendo una casa editrice di più larga diffusione, la Controcorrente è però
discretamente diffusa sul territorio italiano; inoltre ha le sue sedi a Napoli,
il che, per me che pure sono campana, è un vantaggio. Tuttavia, non è stato
certo questo il motivo determinante della mia scelta, ma quanto affermato
precedentemente.”
DE MARTINO: “Il titolo del tuo libro è: “ Palestina, una terra troppo
promessa”; perché lo hai titolato in tal modo e quale scopo ti sei prefissa con
la tua opera?”
RICCIARDI: “Ho sempre pensato che sia importante il titolo, in un libro così
come in altri tipi di opere, perché il rendere, un minimo, l’idea dello spirito
che c’è dietro può attrarre gli stessi lettori… Quando possibile, perciò, è
meglio dare un titolo significativo a un libro… Non a caso, trovo che molte
opere letterarie abbiano titoli “intensi” e a volte perfino poetici.
Venendo al mio libro, ho voluto sintetizzare, con questo titolo, l’idea che la
Palestina sia stata ingiustamente considerata come una terra di nessuno. Per
ritenere che qualcosa sia stata promessa a qualcuno, infatti, e che tale
promessa sia stata formulata senza commettere un’ingiustizia, la cosa promessa a
questo qualcuno non deve essere già di altri. Invece la Palestina cui ambivano i
sionisti era, a larga maggioranza e densamente, popolata dai palestinesi, per lo
più musulmani ma anche, in maniera considerevole, cristiani…
Con “Palestina-una terra troppo promessa” ho voluto evidenziare, quindi,
soprattutto una serie di circostanze messe ingiustamente in ombra, non a caso,
sul conflitto israelo-palestinese. Te ne elenco alcuni esempi: un argomento
spesso usato per tale voluta rimozione è dato dalla considerazione che furono
gli arabi a rifiutare la spartizione della Palestina, stabilita dall'O.N.U. nel
1947 (con un voto falsato dalle pressioni americane, e che aveva valore solo
consultivo, e non esecutivo, non essendo stata consultata la popolazione locale,
in gran parte palestinese e contraria alla divisione della Palestina) e
realizzatasi nel 1948, con la creazione dello Stato d'Israele.. .Particolare
attenzione, non a caso, non viene riservata alla constatazione che gli ebrei
originari della Palestina fossero solo circa il 10% della popolazione in epoca
ottomana (attorno, più precisamente, all’8%), saliti poi al 30% per
l'immigrazione sionista, spesso illegale, all'epoca della spartizione della
Palestina, che risulta chiaro, a questo punto, essere stata un crimine. Ho
trovato del tutto ingiusto, infatti, che la Palestina storica (che comprende
l'attuale Israele, la Cisgiordania inclusa Gerusalemme Est, la Striscia di Gaza
ed una piccola parte di Golan, dato che il resto è siriano), che era abitata a
larga maggioranza dai palestinesi, sia stata non solo brutalmente colonizzata,
ma addirittura trasformata in una colonia di popolamento. Io credo che il
colonialismo di popolamento sia il peggiore di tutti, perchè con esso si cerca
di sostituire una popolazione con un'altra, sfigurando i connotati stessi di un
territorio. Il colonialismo di popolamento è quello che è stato applicato nel
Nord-America ai danni dei pellerossa, in Australia ai danni degli aborigeni
australiani, ecc..., con le differenza, però che, pur senza nulla togliere
all'esecrazione dei crimini contro tali popoli, in questi casi si trattava di
vastissimi territori, in proporzione molto meno popolati della Palestina, che
aveva, invece, un'alta densità di popolazione autoctona, ed era molto più
piccola.
Inoltre, a volte si ricorda che i coloni ebrei, al momento della fondazione
d'Israele, avevano comprato delle terre in Palestina...non chiarendo però che le
avevano sì comprate, ma che queste erano solo il 6% del totale, il che vuol dire
il 94% della Palestina storica era in mano palestinese...a parte il fatto che un
principio basilare del diritto fa sì che avere la proprietà su un territorio non
voglia dire il potervi avere anche una sovranità statuale, il diritto di
legiferarvi...
Di fondamentale importanza, per comprendere nel profondo la questione, sono
anche i dati, non sempre ben evidenziati, relativi alla circostanza che i
dirigenti sionisti fondino la propria identità nazionale solo sulla religione,
non accordando la possibilità di emigrare in Israele a persone di origine
ebraica ma di religione diversa da quella israelitica... quegli stessi dirigenti
israeliani che avrebbero voluto includere nel loro Stato, oltre all'intera
Palestina storica (cosa cui sono andati vicini, perchè , storicamente e
geograficamente, la terribile verità è che Israele è la Palestina…più
precisamente, n’è il 77%) anche porzioni di Libano, attuale Giordania, Iraq,
Siria, ed Egitto, per aumentare le proprie disponibilità idriche: intenzione
evidente anche nelle bande della bandiera israeliana, che indicano i confini
"relitti" che sarebbero dovuti essere d'Israele: dal Nilo all'Eufrate...
Palese appare, inoltre, che le classi dirigenti di Tel Aviv, senza distinzioni
di destra e di sinistra, abbiano cercato di ottenere il maggior numero di terre
possibile col minor numero di arabi possibile: per questo avevano colonizzato e
non annesso Cisgiordania e Striscia di Gaza, per questo avevano annesso
Gerusalemme Est ed il Golan, nonostante annessioni e colonizzazioni siano
illegali. Inoltre, spesso non viene chiamato col suo nome il terrorismo di Stato
israeliano, che si attua con la soppressione di numerose personalità palestinesi
(in episodi apertamente rivendicati dai governi ebraici) e in sproporzionate
rappresaglie ed attacchi di vari tipi: ad esempio, dopo l’uccisone di una spia
israeliana, nel 1982, l’esercito ebraico invase il Libano per mesi, tra la
primavera e l’estate, uccidendo circa 25.000 palestinesi e libanesi, in gran
parte civili. Questo esempio non è certamente isolato, purtroppo…”.
DE MARTINO: “ Generalmente, quando i mass media accennano all’attuale
situazione della Palestina, parlano di “questione palestinese”… tu capovolgendo
giustamente i termini della questione dici nel tuo libro di”questione
israeliana”; potresti illustrare brevemente ai nostri lettori perché “questione
israeliana?”
RICCIARDI: “ Sì, effettivamente credo che sia meglio parlare di questione
israeliana, perché il termine “questione” richiama l’idea di “problema”, e
l’idea di problema può facilmente fare venire in mente, sia pur in maniera non
esplicita, che il problema sia causato da una “naturale turbolenza” delle genti
cui viene riferita tale questione; in realtà, qui la questione, nel senso
appunto di problema, nasce e continua dall’espansionismo colonialista e razzista
sionista, mentre il discorrere di “questione palestinese” può avere un effetto
quasi ingannevole: naturalmente, però, c’è che chi usa tale espressione in
perfetta buona fede e chi con fare volutamente manipolatorio. Onestamente, tali
riflessioni mi sono state ispirate dalle tesi di questa natura di uno studioso
della corrente di pensiero “Utopia Socialista”: Fabio Beltrame. Naturalmente, dò
conto di ciò anche nell’opera”.
DE MARTINO: “ Nella tua opera accenni ad ambienti cristiani, che sono
nominati ”cristiani-sionisti” i quali oggettivamente con il loro comportamento
sono funzionali all’espansione territoriale dell’entità sionista; potresti
illustrare ai nostri lettori quali sono le motivazioni che li spingono a
comportarsi in tal modo?”
RICCIARDI: “La questione riguarda soprattutto l'appoggio americano ad Israele,
che non si spiega solo con l'influenza delle molto facoltose comunità ebraiche
d'Oltreoceano, pur esistendo indubbiamente tale fattore. Negli Stati Uniti
vivono sei milioni di ebrei, cioè più che in Israele, ma la posizione
filoisraeliana delle varie amministrazioni americane si spiega anche con tale
concezione religiosa, definita appunto “cristiano-sionismo” (certamente non solo
da me, visto che già altri se ne sono ben occupati prima): si tratta di una
mentalità, però, più anti-cristiana che cristiana. Molti americani, di solito di
radici protestanti, pur nominalmente cristiani, si rifanno infatti più
all'Antico che al Nuovo Testamento, approvando anche i concetti di vendetta
sproporzionata e spietata, di un popolo eletto superiore agli altri ed altri
concetti discriminatori ed involutivi, che finiscono addirittura per attuare, in
politica interna ed internazionale… quegli stessi concetti, cioè, confutati dai
Vangeli. Gli autori del Nuovo Testamento, infatti, pur mantenendo un filo con la
concezione biblica monoteista sul divino, con l’idea del Cristo preannunciato
dai profeti, avevano considerato quell’altro tipo di idee frutto di una
distorsione umana della parola di Dio: distorsione che era stata corretta dal
messaggio del Nuovo Testamento.
Dal cosiddetto “cristiano-sionismo”, invece, discende la concezione del popolo
americano simile ad un Israele biblico, detentore di un destino eccezionale, al
di sopra ed al di là delle altre nazioni. Ecco un altro motivo dell'altrimenti
solo parzialmente spiegabile profonda influenza della comunità ebraica, la cui
principale organizzazione è la potentissima “Anti Defamation League”. Il
cristiano-sionismo è diffuso soprattutto tra alcuni membri di sette protestanti
di radice anglosassone, ed ha, appunto, la caratteristica fondamentale di non
leggere la Bibbia alla luce del Nuovo Testamento. Una radice del
cristiano-sionismo è poi nell'eresia calvinista, che vedeva nel successo nel
mondo un segno della predilezione divina: questa concezione ha dato un forte
impulso allo stesso capitalismo americano, secondo quanto hanno rilevato pure
fondamentali studi di Max Weber. Un esempio recente di cristiano-sionismo può
essere rappresentato dallo stesso ormai ex presidente americano George W. Bush,
definitosi, nella sua esaltata retorica, “cristiano rinato”, cioè moralmente
rinnovatosi nello scontro contro un nemico al quale egli attribuisce spesso
tratti di tipo metafisico. “Nello scontro tra il bene e il male Dio non è
neutrale” dichiarò infatti Bush al Congresso il 20 settembre 2001... e la
divinità cui fa riferimento realmente è quella degli ebrei più che qualunque
altra.
A riprova di questa concezione diffusa, si può ricordare, facendo un passo
indietro, la circostanza che i responsabili inglesi (sodali degli americani in
tale concezione politico-religiosa) dell'immane strage di Amburgo durante la
Seconda Guerra Mondiale (circa 50.000 civili tedeschi uccisi, senza che vi
fossero ivi obbiettivi militari di rilievo) denominarono quell'atto “Operazione
Gomorra”. L'esempio è tratto proprio da uno studioso originario del mondo
anglosassone, John Kleeves, tra le cui opere più interessanti ricordiamo
“Sacrifici umani” proprio a proposito dei bombardamenti terroristici ed “Un
Paese pericoloso”.
Per comprendere meglio i motivi per cui il cosiddetto cristiano sionismo abbia
tanta influenza, è molto utile avere presenti le dichiarazioni del predicatore
americano Jerry Falwel, a proposito dei “Christian Zionists”. Falwel considera
infatti la creazione d'Israele il più bel giorno dopo la venuta di Gesù Cristo.
Preso dalla propria lettura letterale della Bibbia (senza così alcuna
interpretazione allegorica e, ripeto, non alla luce dei Vangeli), Falwel
proclama il proprio incondizionato sostegno allo Stato ebraico, in modo che la
riunificazione nella terra per loro promessa porti anche “il completo sterminio
degli ebrei nel tempio ricostituito” per volontà divina, quale segno della
felice fine dei tempi. In pratica, per Falwel ed i suoi seguaci la venuta
d'Israele è un segno della fine del mondo, ed un modo per accelerare la fine del
mondo è aiutare il consolidamento dello Stato ebraico: la fine del mondo sarà
suggellata (ed è visione comune all'escatologia cristiana ed islamica) dalla
fine nel tempio. Quindi, l'alleanza con questi gruppi fondamentalisti americani
è un'arma a doppio taglio per gli stessi ebrei, dato che questa provvisoria
alleanza è comunque fondata su una idea di tipo integralista religioso, che
vedrà tra l'altro una definitiva sconfitta del Giudaismo, giustificata dai suoi
stessi sostenitori americani da motivi religiosi. Insomma, per porre fine
all’acritico sostegno di tanti, troppi, statunitensi, alle aberrazioni della
politica israeliana, sarebbe necessaria una rivoluzione interiore di tali
persone, per liberarle da una certa visione del mondo razzista e
discriminatoria, che le rende anche prigioniere di se stesse.”
Questa intervista, rilasciata da Antonella Ricciardi a Luigi De Martino il 19 giugno 2009, è stata pubblicata sui giornali Dea Notizie e Il Puro Islam.