Intervista ad Elio Di Domenico |
«“Sari” è stata per me una
sorta di liberazione, una catarsi»: così Elio Di Domenico, nato a S. Maria
Capua Vetere il 19 agosto 1978, definisce il significato anche esistenziale del
suo lavoro di scrittura di quest'opera letteraria. Laureando in Lettere, un
artista/artigiano a 360°, cantautore, scrittore, poeta... Ma chi è veramente
Elio Di Domenico? Possiamo parzialmente scoprirlo con queste sue stesse parole: «Più che un artista mi considero una specie di “artigiano” – anche in ossequio
alla tradizione di famiglia – sebbene qui non si tratti di plasmare la materia,
ma in qualche modo l’anima. Posso anche paragonarmi a un apprendista stregone,
un alchimista che, scoperta la pietra filosofale, cerca di tramutare tutto in
oro». Per chi volesse contattarlo, anche per motivi legati alla sua attività
artistica, questo è il suo indirizzo di posta elettronica: elio.didomenico@libero.it. Segue un'intervista in esclusiva recentemente concessaci.
D.) Nel tuo romanzo «Sari», la cui uscita è prevista a breve, la
presenza del mare è un leit motiv che accompagna le complesse vicende dei
protagonisti, e sembra assumere un significato che vada oltre la pura presenza
fisica, legata ad uno specifico paesaggio geografico: questo elemento naturale
ha nella tua opera uno specifico significato simbolico, magari legato alla
psicologia del profondo, e se sì quale?
R.) Assolutamente sì: “Sari” – cito il sottotitolo – è “il grande poema del
mare”, inteso innanzitutto come celebrazione dell’elemento dell’acqua,
l’elemento fondante della vita stessa, in ogni sua forma ed espressione. Mi
piace definire questo libro un concept roman, un romanzo-concetto, dotato di un
preciso filo conduttore, che conferisce all’opera unità di senso. È il
leitmotiv, l’anima della trama, anche se dovrei parlare piuttosto di “flusso di
coscienza”, lo stream of consciousness, per dirla con Joyce. E qui entra in
ballo la psicologia e probabilmente la spiritualità, perché scrivere “Sari” è
stata per me una sorta di liberazione, una catarsi: pensa che l’ispirazione
risale a quando, appena quindicenne, una mattina di novembre invece che a scuola
andai al mare, obbedendo come a una voce di dentro. Lì sentii un che di
indefinibile, ma non capii fino in fondo cosa. Per una ragione misteriosa mi
sentivo terribilmente attratto, e al contempo atterrito, da un mare che prima di
allora non mi aveva affatto stupito. Quasi diec’anni dopo ho provato,
realizzando “Sari”, a dare un senso a quella lontana emozione. Credo di esserci
riuscito, ma naturalmente non dirò nulla in proposito, dando modo di scoprirlo a
chiunque voglia leggere “Sari”.
D.) Un altro tuo lavoro in preparazione è legato al mito di Amore e Psiche,
non solo in riferimento al tema della bellezza, ma anche a quello dell'ambiente
giovanile, soprattutto a proposito del mondo della scuola. Il protagonista,
infatti, vive in un ambiente dove regna il conformismo, e dove per essere
accettati bisogna spesso scendere a compromessi coi propri ideali: ad esempio,
non di rado le proprie radici culturali e nazionali vengono svalutate in favore
di mode effimere e consumistiche. Quanto pensi siano diffuse realmente queste
tendenze nella gioventù attuale ed a cosa consideri sia dovuta la diffusione di
questo atteggiamento?
R.) “Amore e Psiche” è una vicenda adolescenziale incentrata però su un altro
leitmotiv, stavolta la bellezza. Ho accuratamente evitato deprimenti luoghi
comuni sul mondo giovanile, cui peraltro credo ancora di appartenere, del resto!
Il protagonista, per quanto giovanissimo, vanta già diversi anni di devota e
totalizzante militanza politica: una scelta a suo tempo indotta più che altro da
un disperato bisogno di uscire dall’isolamento, e gettarsi così in una mischia
che, in fondo, non gli apparteneva veramente. Poi un bel giorno di quasi
primavera, a pochi mesi dalla maturità, il ragazzo sperimenta una serie di
sensazioni semi-nuove, prima di tutto l’innamoramento, ma anche il narcisismo,
la paura di morire, e naturalmente lo stupore che solo l’arte classica è capace
di dare, durante una avventurosa gita a Parigi. Non è il topos della fuga nel
privato o un’apologia del disimpegno: solo un invito rivolto ai giovani affinché
sperimentino la vita a 360°, senza assolutizzare nient’altro che le proprie
emozioni. Quanto alla gioventù attuale, le mode sono sempre esistite, e cercano
di rispondere a un ancestrale bisogno di appartenenza di tutti noi... Ma gli
esiti sono imprevisti, quasi sempre dietro vige una logica commerciale, che
riesce a fregare anche l’occhio più sveglio e la mente più indipendente. Marcuse
& company avevano ragione, grosso modo, peccato che razzolavano così male...
D.) Qual è la più importante motivazione che ti spinge a comporre romanzi,
cosa in particolare t'ispira per questi...?
R.) Come ho anticipato prima, la mia creatività è quasi un fatto “mistico”,
oltre che “terapeutico”, attraverso il quale estroverto quanto di più profondo e
misterioso abita in me. Davvero non sono mosso da alcun ragionamento
preliminare, scrivo e basta (se mi viene, e viene di rado), è quasi come
trascrivere un dettato, il più delle volte. Poi naturalmente c’è tutto il
discorso dell’architettura che ogni composizione deve possedere, affinché chi
legge o ascolta sia guidato verso un esito ben preciso... Però guai a non
lasciare al lettore o all’ascoltatore un ampio margine di quella sorta di
libertà, quella sacrosanta possibilità di dare ognuno la propria
interpretazione, il proprio significato... E ti assicuro che sono felicissimo
quando l’altrui interpretazione non coincide con la mia: significa che ho smosso
qualcosa in qualche anima.
D.) Rimanendo in tema di creatività, spesso scrivi anche canzoni che poi
accompagni suonando il pianoforte, che spaziano nei temi più vari, dall'amore,
alla vita quotidiana, a temi politici, ad esempio a favore della libertà dei
popoli palestinese ed irakeno dall'oppressione sionista e neoconservatrice
dell'amministrazione Bush. Ci sono altri argomenti particolari cui vorresti
dedicare delle tue composizioni musicali, e se sì quali e perchè?
R.) Non amo gli schieramenti troppo netti a favore di questa o quella parrocchia
politica, specie quando provengono da chi come me si dedica a tutt’altro. Mi
farebbe sentire meno libero, e quindi distante da me stesso. Però non amo
glissare i quesiti, né posso fingermi cieco di fronte allo stato attuale delle
cose: il mondo sta imboccando un senso unico, dove a tutti conviene andare nella
stessa direzione, pena una dura contravvenzione. Anche il protagonista di “Amore
e Psiche” cercò di uscire dalla solitudine e dalla staticità gettandosi nella
mischia, ma a prezzo di omologarsi, di alienarsi a momenti. La favoletta
dell’esportazione della democrazia è ridicola, ma purtroppo non fa ridere
nessuno, se non chi ci guadagna, ed è la solita feccia di sempre, che si
reincarna in forme diverse, restando uguale a sé stessa. Finché il mondo sarà in
mano a questi replicanti non cambierà mai niente, si continuerà a dare più
importanza a un fast-food che a un popolo che muore di fame e di oblio. Non
dobbiamo mai e poi mai lasciarci prendere in giro, lasciare che si faccia beffe
delle nostre coscienze. Personalmente preferisco “utilizzare” la mia musica per
una dimensione più intimistica... Però ho in mente un libro di impressioni di
viaggio, un po’ un libro-nomade alla Chatwin, in cui vorrei farmi portavoce
delle miserie materiali del Sud del mondo, e di quelle morali del Nord, ma non
ho nessuna intenzione di farmi intrappolare dai polpettoni buonisti e dalla
retorica del politicamente pseudo-scorretto, peggiore del suo opposto. Credo sia
giunto il tempo di un linguaggio, di un nuovo approccio culturale che superi
finalmente le categorie e le dicotomie del Novecento, che – lungi dal morire – è
ancora perfettamente vivo e vegeto. Ma non potrà sopravvivere a chi saprà
ammazzarlo...