Intervista a Costanzo Preve |
Il filosofo Costanzo Preve |
In questa intervista il filosofo torinese Costanzo Preve sintetizza alcune delle linee essenziali del suo pensiero di studioso, tra i maggiori conoscitori e teorici del marxismo su scala europea. Autore di numerosissimi libri, spesso tradotti all'estero, conoscitore di otto lingue (tra cui inglese, francese, tedesco, greco, turco), collaboratore tra l'altro dei giornali politico-filosofici Eretica e Comunitarismo, e già professore di storia e filosofia nei Licei, Costanzo Preve è noto anche per le sue posizioni anticonformiste, non disgiunte dall'impegno a favore del dialogo e dall'amore per una razionalità che si risolva a favore del bene comune. In questa occasione, Preve risponde anche a chi lo ha criticato per avere realizzato delle pubblicazioni di suoi volumi con case editrici anche di destra alternativa (senza peraltro avere snaturato il suo pensiero), oltre a sottolineare il proprio impegno netto in supporto delle realtà antiimperialiste, anche in collaborazione con Alain De Benoist, storicamente ideologo della Nuova Destra francese. Più precisamente, Preve e De Benoist sono approdati a posizioni per molti aspetti al di là delle varie destre e sinistre, convergendo così su tale punto d'arrivo, nonostante provenissero appunto da differenti percorsi. Inoltre, Costanzo Preve spiega anche il proprio concetto di comunitarismo, che tuttora fa riferimento a radici di sinistra, comunque, che lo differenziano da diversi modelli storici di comunitarismo nazionalsocialista, fascista, tradizionalista.
1) Ritiene sia tuttora realizzabile l’utopia del comunismo d’ispirazione marxista?
Secondo me posta in questo modo è una domanda a cui non si può rispondere, perchè l’utopia per sua stessa natura è strutturalmente irrealizzabile.
2) Infatti in greco vuol dire non luogo…
Non a caso la parola utopia, da quando è nata all’interno del Rinascimento, con Tommaso Moro, e poi con i grandi utopisti, non sto parlando degli antichi, indica qualcosa di non attuabile… Secondo me, l’utopia in quanto tale non è per sua natura realizzabile. Marx non pensava di proporre un’utopia, ma indicava una previsione scientifica della storia, cioè prevedeva che il futuro, anche se non nei particolari, fosse prevedibile come un passaggio necessario dal capitalismo al comunismo. Noi oggi sappiamo, o almeno io penso, che si trattasse di un errore, cioè di un modello positivistico di scienza, un modello di scienza che oggi non è più assolutamente condiviso dalla stragrande maggioranza degli studiosi sociali, dei sociologi e degli storici, e che invece era tipico del tardo positivismo, per cui Max innestava quella che era in fondo un’utopia romantica, la riconciliazione tra uomo e natura, all’interno di un modello positivistico di scienza che oggi secondo me non può più essere assolutamente condiviso. Dunque io, in questo momento, penso alla proposta di Marx non tanto come a un’utopia, quanto come a una prospettiva: prospettiva vuol dire qualcosa che è possibile per la natura umana, per cui la penso in un certo senso secondo il modello di Aristotele del passaggio dalla potenza all’atto, secondo cui l’uomo è potenzialmente capace di vivere in comunità e può in fondo arrivare a realizzare tutto questo attraverso le sue capacità. Questo modello però non è condiviso dalla stragrande maggioranza dei marxisti, per cui, all’interno di questa comunità, io ho una posizione abbastanza isolata, in cui peraltro sono ben contento di essere, per cui, in definitiva, parlo non tanto di utopia quanto di prospettiva, non tanto di prevedibilità quanto di possibilità.
3) Quali considera siano le principali cause dell’implosione dei tanti regimi del cosiddetto socialismo reale nel mondo, che cosa, diciamo, è andato storto? Questa domanda si ricollega alla prima...
Sicuramente, questa è una questione enorme, per cui risponderò soltanto in modo schematico. In primo luogo il fatto che la previsione secondo la quale il capitalismo non sarebbe riuscito a sviluppare le forze produttive si è rilevata completamente falsa, in realtà il capitalismo è capacissimo a sviluppare le forze produttive, e semplicemente all’interno di un quadro di decadimento ecologico del pianeta e di peggioramento antropologico degli uomini in società. Però, al di là di questi due aspetti, peraltro fondamentali, il capitalismo si è dimostrato il modello economico e sociale più capace di sviluppare forze produttive, basta pensare alla Cina di adesso.
4) Che sta cambiando pelle, giusto?
Ecco, esattamente. Ora, questo è il motivo fondamentale. Il secondo motivo è che, a differenza di Marx, io penso che la classe operaia, proletaria e salariata, in quanto classe sociale, sia capace di contestazione del capitalismo, di scioperi, di ribellioni e di rivolte, ma in quanto tale non sia la classe che Marx pensava che fosse, cioè la classe capace di portare a un’universalizzazione dei propri valori salariati, e a mio parere il crollo del socialismo reale, del socialismo da parecchie parti, è dovuto alla sinergia tra questi due elementi, che a questo punto ripeto: primo, la capacità del capitalismo di sviluppare le forze produttive, secondo l’incapacità, secondo me strutturale, della classe operaia e salariata di essere egemone all’interno della riproduzione sociale. Preferisco questa diagnosi infausta, come dicono i medici, alle consolazioni di tipo trotskijsta, secondo cui tutto sarebbe stato rovinato dalla burocrazia, e ad analisi dello stesso tipo.
5) Mi è venuta in mente una domanda riallacciandomi proprio a quello che diceva lei: se non può esserlo la classe operaia l’asse portante di questo possibile cambiamento, quali soggetti lo dovrebbero supportare più? Forse, a livello strutturale, sarebbero necessari più gruppi sociali?
Naturalmente questa è la domanda che viene subito ragionevolmente alla bocca. Ecco, io rispondo in questo modo, non lo so, però posso suggerire delle prospettive di ricerca. Questa è una domanda enorme, come dire se si può guarire il cancro fra qualche anno... Qualunque medico intelligente dirà di no, non si può, però si possono fare delle prospettive biologico – genetiche che forse ci portano sulla strada buona. Secondo me questo tipo di problema è in un certo senso lo stesso. La storia è imprevedibile, dunque è assolutamente impossibile sapere quali saranno le configurazioni soggettive e oggettive che si potranne produrre nell’arco di 30-40 anni della nostra vita.
6) Sono troppe le variabili?
Qualcosa di più che variabili, è proprio imprevedibilità. Essendo la cosa imprevedibile, nessuno può sapere tra 50-60 anni come si configureranno le formazioni soggettive della storia mondiale, perché un conto è l’India, un conto è la Cina, un conto è l’Africa, un conto è l’America, un conto è l’Europa. Per cui parlare di un soggetto unificato, globalizzato, mondiale, è già secondo me un’improprietà. So che la scuola di Toni Negri, di Michael Hard, con i suoi due libri molto letti in Italia e all’estero, in particolare «Impero e moltitudini» [di Negri, n.d.r.], ritengono di aver già scoperto il soggetto, le famose moltitudini unificate contro l’impero. Secondo me questa è fantasia pura, in confronto a cui i teologi bizantini erano degli scienziati positivisti. Per cui in questo momento, per quello che riguarda le teorie del soggetto, esistono alcune scuole, tutte insufficienti. Primo, la scuola di Metri che parla di fantomatiche moltitudini contro l’impero. Secondo, chi invece, ad esempio gruppi come Lotta Comunista o come i C.A.R.C., insiste sulla classe salariata operaia e proletaria di fabbrica: secondo me tutto questo è stato smentito ampiamente dalla storia. In terzo luogo, chi parla di Terzo Mondo, come rivolte dei poveri del mondo contro i ricchi: per me le cose non stanno così, persino nei Paesi più poveri del mondo, ad esempio in India e Cina, si sta sta formando una solida borghesia, del tipo europeo di cento anni fa. Per cui, smentite queste tre scuole, mi rendo conto che siamo in un momento in cui non si può dare una risposta. Io potrei tentare delle risposte, ma non avrebbe molto senso, perché sarebbero come le previsioni che fanno i maghi e gli stregoni rispetto agli studiosi seri di chimica, fisica o biologia. Io penso che in questo momento intermedio vi siano soggetti plurali.
7) Delle sinergie?
Sì, delle sinergie, secondo me ci può essere una sinergia fra i popoli del mondo che resistono all’impero americano e questa opposizione va dall’Iran, all’Iraq, alla Palestina, e c'è tra tanti altri popoli del mondo, in America latina e così via, i quali però in questo momento non hanno un corrispondente alleato all’interno delle grandi metropoli, perché non vedo né la classe operaia né la piccola-media borghesia di questa generazione che si possano in qualche maniera relazionare con questi gruppi sociali. Lo dimostra il fatto che l’Europa ha delle basi americane a 61 anni della fine della Seconda Guerra Mondiale, che questo fatto non è pensato come importante della stragrande maggioranza degli intellettuali, che lo rimuovono e che considerano estremistica una opposizione a questa presenza, e col fatto che domina da noi una concezione della sinistra unicamente come sinistra della liberalizzazione dei costumi tipo Pannella – Bonino, oppure della legittima difesa di posizioni salariali, tipo Bertinotti. Tutto questo è insufficiente, è talmente insufficiente da essere quasi tragicomico, per cui in questo momento penso che come dicono a Napoli «adda passà a nuttat», mi pare che sia così, no?
8) Sì, esattamente così.
In questo momento non riesco ad andare oltre a questa radiografia.
9) Collegandoci con quanto da lei proprio poco fa detto, può spiegare più in dettaglio quali siano le realtà maggiori da appoggiare per supportare un’opposizione netta all’imperialismo di matrice americanista e sionista, soprattutto nei paesi poveri, oppressi, a livello mondiale?
Io penso che bisogna abbandonare l’idea della identificazione empatica, cioè emozionale e soggettiva, con le forze che resistono, questo è stato l’errore della generazione che io chiamerei Ingrao-Rossanda- '68, per cui bisognava identificarsi psicologicamente con il guerrigliero latinoamericano, con la guardia rossa cinese, con il partigiano, e così via, per poterli appoggiare. Secondo me questo atteggiamento è sbagliato, per esempio con i talebani dell’Afghanistan io non riesco psicologicamente ad identificarmi, con la loro concezione religiosa e sociale, eppure sono completamente con loro contro gli invasori americani.
10) Cioè se una causa è giusta è giusta, al di là delle proprie impostazioni, dell'affinità o meno con chi la rappresenti ….
Sì, una causa è giusta se in questo momento è una causa di indipendenza nazionale e patriottica nei confronti dell’imperialismo, per cui io considero sostanzialmente da appoggiare cause diversissime, come quelle del socialismo reale alla Cuba e Corea del Nord, con la quale pure non simpatizzo da un punto di vista filosofico e storico. Appoggio i regimi populisti latinoamericani come quelli di Chavez e Morales, completamente, ho una simpatia molto grande per i patrioti quali gli Hezbollah e i militanti di Hamas. Sostengo i talebani che si oppongono alla presenza americana, anche se soggettivamente io sono un allievo del razionalismo illuministico occidentale, e pertanto non posso identificarmi con la loro concezione del mondo. Questo però attualmente per me è secondario, adesso ci sono delle forze legittime che combattono contro l’imperialismo, così come furono in una posizione legittima i cinesi che combattevano contro i colonialisti al tempo dei 55 giorni di Pechino, e così via. In questo momento siamo in una condizione che ricorda il tempo degli antichi romani, io mi sento molto più come Annibale che Cesare. Avrei appoggiato, che so io, i galli di Vercingetorige e il re Mitridate del Ponto, perchè secondo me essi giustamente si opposero ad ad una sorta di imperialismo globalizzato, che si concepisce universalistico, ma così non è.
Al tempo
degli antichi romani c’era un po’ di universalismo. Adesso non lo riconosco
nel mondo americano. Per cui, quando ci furono gli attentati alle Torri Gemelle,
io ho sentito simpatia e pietà per le vittime, per le vittime innocenti che
abitavano in quei grattacieli, ma non mi sono affatto sentito americano, come
voleva il circo mediatico. E' chiaro?
11) Sì, chiarissimo. È un discorso di priorità, sul cercare di privilegiare l'obbiettivo più importante: è così?
Sì. Il problema è se ci identifichiamo oppure no al cento per cento con una ideologia religiosa o politica. Io non m’ identifico con la Corea del Nord, ci mancherebbe altro, e tanto meno m'identifico con i talebani, però ritengo in entrambi i casi legittima la loro Resistenza. Un’altra cosa, poi, è costruire un universalismo reale che possa essere convincente per i nostri popoli: è un altro problema, connesso però con parecchi passaggi.
12) Lei, in quanto filosofo e studioso del marxismo, ha frequentato e conosciuto bene, fin dagli anni '60, il mondo intellettuale di sinistra di cui è parte, vero?
Soprattutto in Francia e in Italia, con studi a Parigi, per cui in realtà la mia conoscenza della Francia è per alcuni aspetti migliore ancora di quella dell’Italia, però posso dire sì, naturalmente l’ho conosciuto, anche perché ho vissuto anche in Spagna, in Germania, in Grecia. Per cui, in un certo senso posso affermare, senza presunzione, di essere uno dei principali conoscitori del mondo filosofico marxista degli anni '60,'70 e '80. Lo posso dire, diciamo così, tranquillamente.
13) In riferimento soprattutto all’Italia, lei ha spesso criticato sia le tendenze a farsi cooptare, in nome di vantaggi a discapito di principi reali, che il settarismo che spesso s'incontra nello stesso mondo intellettuale di sinistra. Secondo lei in che modo si concretizzano, soprattutto, tali difetti storici della sinistra italiana, ed eventualmente come si potrebbe andare oltre ciò?
La patologia però è varia e diversa, non esiste una patologia unica. Esiste la patologia dell’integralismo.
14) Può darne una descrizione in linea di massima?
D’accordo, allora una volta specificato che non esiste una patologia unica, a meno che per patologia unica s'intenda una decadenza globale di una visione del mondo, che possiamo anche interpretare in questo modo, un po’ alla Splengher, come una vera decadenza della sinistra in Europa. Io penso che ci sia, ma ritengo anche che questa chiave di lettura sia largamente insufficiente, per cui penso sia forse meglio scendere nelle varie patologie. La prima patologia è quella della integrazione, cioè il fatto che è abbastanza normale che il 25enne e 30enne è un rivoluzionario, mentre a 60 anni sia in un certo senso un reazionario. Questo fa parte della saggezza tradizionale conservatrice; quand’ero giovane pensavo che non fosse così, ora a più di 60 anni penso che sia in un certo senso una fisiologia. Da un lato ci sono i motivi di corruzione già spiegati a suo tempo da Spinoza e dai grandi moralisti del ‘600, cioè fondamentalmente tre varianti che sono potere, ricchezza e onori. Il potere in un certo senso è una tale forza che come dicono in Sicilia «Cumannari è megghiu i futtere» [«Comandare è meglio che fottere», in dialetto siciliano, n.d.r.], che si richiama direttamente all'elemento libidico umano. Se uno per esempio vede la persona di D’Alema, questo lo capisce chiaramente. La seconda patologia è causata dagli onori, intesi oggi come visibilità mediatica, cioè come narcisismo soddisfatto della contemplazione, e terza è naturalmente la ricchezza, perché un conto è riunire in pizzerie maleodoranti, andare in ostelli a 25-30 anni, e un conto è andare invece in alberghi con suite, che sono le cose che vengono date all'intellettuale di regime a 60 anni. Ma io non mi fermerei però semplicemente a questi aspetti, a mio parere sono due gli elementi fondamentali che spiegano questo passaggio, il prima è l’elaborazione del lutto, in un certo senso con vergogna, di avere fatto parte di qualcosa negli anni '60, qualcosa a cui non si crede più, e che si rovescia nel suo contrario. Questo spiega persone come per esempio Giuliano Ferrara: adesso, a parte la corruzione personale di questo individuo. Ecco, per cui proprio il rifiuto di quel tipo di comunismo porta ovviamente al suo contrario. Il principale studioso di questo, il grande filosofo Hegel, che nel suo libro «Fenomenologia dello Spirito» ha studiato una figura dialettica che si chiama «Passaggio dall’ascetismo della morale al regno animale dello spirito». Poi una terza categoria è quella forse più più chiara: il '68 è una pseudo rivoluzione, quella del '68 è una generazione maledetta, forse la generazione peggiore degli ultimi duecento anni, perché mentre quella del '45 almeno combatteva contro il fascismo, insomma, la generazione del '68 è veramente in molta parte merda pura. Si tratta di gente che ha confuso la liberalizzazione dei costumi con il socialismo, cioè che ha confuso l’ultimo stadio del passaggio da un capitalismo borghese a quello post-borghese con il socialismo, per cui è chiaro che si tratti della generazione più sciagurata della storia da questo punto di vista: nessuna generazione ha fallito così tanto, da un punto di vista storico generale. Altre patologie sono il settarismo dei piccoli gruppi, con cui ho completamente rotto, piccoli gruppi che sono di tipo religioso e testimoniale, per studiarli bisogna studiare le sette come i Testimoni di Geova. I piccoli gruppi si formano sulla base di eresie differenziali che diventano ortodossia di riconoscimento, d’identità e di appartenenza, per cui sono costruiti in maniera tale da non poter strutturalmente collaborare con loro, in quanto sono quindici e rimangono sempre quindici, non riescono a diventare uno, diventerebbero uno se ci fosse una spinta sociale che li obbligasse a diventare uno, com’è successo alla fine dell’'800 col socialismo. Però in questo momento non è così, perché siccome non c’è una spinta sociale verso il comunismo, ma una gigantesca spinta sociale verso l’integrazione consumistica nel capitalismo o verso la frammentazione individuale del lavoro flessibile e precario, non esiste nessuna forza sociale che costringa questi piccoli gruppi ad aggregarsi, per cui le sette trotskijiste, bordighiste, maoiste, staliniane, togliattiane e anarchiche si riproducono formando dei capetti che vogliono dirigere 20-30 persone, che preferiscono essere i capi di 30 persone piuttosto che essere i subalterni di 300: per cui esistono patologie strutturali di questi gruppi, che sono secondo me incurabili.
15) E’ chiarissimo, è la situazione in cui si pensa più al proprio bene individuale rispetto a quello collettivo, sembra irrazionale ma in realtà si segue un altro ordine di fattori, cioè conta più l’ambizione, contano di più le concezioni cui si è affezionati, se le mettessero in discussione metterebbero in discussione troppe cose del loro passato e ciò avrebbe un prezzo alto.
Freud spiega più di Marx, infatti.
16) Pur collocandosi nella sinistra alternativa, lei ha accettato che venissero pubblicati dei suoi volumi anche da alcune case editrici in cui sono presenti diversi motivi ispiratori del mondo del radicalismo di destra, si tratta delle Edizioni all’Insegna del Veltro, della Controcorrente, della Settimo Sigillo. In che maniera motiva questa sua scelta?
Mah, vede, io non mi sento di motivarla, perché a questo punto personalmente ritengo che sia esaurita la dicotomia sinistra-destra storica ed economica, però naturalmente lo sostengo venendo da sinistra, cioè portandomi dietro dei valori di carattere sociale e politico che tuttora rivendico. Per esempio io e De Benoist abbiamo fatto un colloquio e siamo tuttora anche in rapporto di amicizia, però De Benoist è uno che è arrivato al superamento della dicotomia sinistra-destra partendo da valori di destra, per cui importa anche, diciamo così, il bagaglio che ci portiamo dietro.
17) Cioè avete retaggi diversi ma siete arrivati alle stesse conclusioni ?
Abbiamo le stesse sensibilità... I suoi autori continuano ad essere Heidegger e e Nietzsche, i miei autori continuano ad essere Hegel e Marx, poi io ho una fortissima sensibilità antimperialista, sicuramente chi viene da destra ne ha molta di meno, ecco, per cui cominciamo a tener conto di questo. Poi, una seconda cosa: il gossip e la malevolenza alla Indymedia mi sono completamente indifferenti, io non sono neppure collegarmi in rete, capito? Io so che perdo molto a non essere collegato in rete, ma contemporaneamente guadagno in tranquillità mentale e in concentrazione. Se fossi collegato in rete, siccome sono una persona relativamente conosciuta, dovrei passare due ore al giorno ad esaminare corrispondenza o insulti: a questo punto dovrei rispondere, capisce? Preferisco invece, diciamo, ignorarlo, e concentrarmi nel mio lavoro, che come sa è abbastanza grande e abbastanza forte. Ecco, perciò viene fatta anche una conoscenza esistenziale. È chiaro che pubblicare su case editrici di destra, che in alcuni casi sono tuttora di destra, non sono così sciocco da non saperlo, significa naturalmente rompere otto rapporti su dieci, e questo però è un prezzo da pagare, perché bisogna sapere che nella vita bisogna pagare dei prezzi, non si riesce ad avere mai nulla senza pagare dei prezzi: io li pago.
18) Scusi, ma si riferisce a rapporti con altre Case editrici o a rapporti umani generici, o a un misto delle due circostanze?
No, a un misto di tutto quanto, fondamentalmente a rapporti umani.
19) Quindi, in un certo senso è la cosa peggiore?
No, per esempio una casa editrice molto intelligente, profonda che io stimo moltissimo, come la Città del Sole di Napoli...
20) Che è decisamente di sinistra.
Sì, sì, lì si ha a che fare con gente intelligente, che guarda i contenuti e non guarda il gossip, per cui ho in pubblicazione del mio lavoro con La Città del Sole.
21) E’ una Casa editrice che non guarda al pettegolezzo, insomma...
Questa è la cosa fondamentale, ora io ho deciso di scrivere a 360 gradi, scommettendo sul fatto che il mio lettore cercherà di guardare il contenuto, e non si farà fermare dal gossip.
La maggioranza dei lettori non fanno così, però il lettore che si facesse fermare dal gossip preliminare o dal tabù dell’impurità non m’interessa. Cioè un lettore che leggerebbe un mio libro se esce dal Manifesto Libri e lo stesso libro se esce da Settimo Sigillo non lo legge è un tipo di lettore che a me effettivamente non interessa, perché è un tipo di lettore che non è mosso dai contenuti e dalla riflessione della critica, ma semplicemente dal tabù dell’appartenenza. Secondariamente c’è una questione, io ho deciso, nei primi anni duemila, cioè a partire dal 2003, di scrivere a 360 gradi: questo mi ha permesso di scrivere di più. Certo che se mi pubblicasse la Mondadori o la Garzanti lo farei volentieri, se la Manifesto Libri mi proponesse di scrivere un libro, lo farei volentieri, se l’editore Editori Riuniti mi proponesse di fare qualcosa con loro la farei volentieri, però non lo fanno, io non posso aspettare di morire prima che lo facciano, capisce? Sono arrivato ad una certa età, in cui ad un certo punto preferisco utilizzare completamente il mio tempo.
22) Sì. Comunque spesso nelle pubblicazioni di estrema destra ci sono più spiragli contro un certo imperialismo rispetto ad altre pubblicazioni più grosse ma considerate più "political correct", e che poi nei fatti sono di solito più criticabili...
E' esattamente così. Per esempio il mensile Italicum, che a questo punto è anche schizofrenico, perché pubblica delle cose mie, ma poi contemporaneamente in altre pagine ha una rivendicazione di Salò.
23) Forse è pluralista, in un certo senso?
Però questo mio commento ha avuto un carattere storico, cioè la destra in questo momento è più scissa della sinistra: mentre la sinistra continua ad avere una fortissima identità tribale identitaria e di appartenenza, per cui si va da Rutelli a Bertinotti, per cui gli stessi dissenzienti, tipo Bernocchi, rimangono sempre però gravitazionalmente attratti dal richiamo della foresta di sinistra, sebbene naturalmente non metta insieme ad una persona rispettabile come Bernocchi ad altri, nel caso della destra la rottura è molto più grossa, perché una parte della destra, parte estremamente maggioritaria, Berlusconi...
24) Si, quella liberale soprattutto...
Non è più liberale, era liberale, perché essendosi legata al modello sionista- americano ma non è neanche più liberale.
25) E' conservatrice tout court questa parte maggioritaria della destra?
Sì. Poi dopo c’è un settore della destra che invece ha deciso di rompere con questa deriva che alcuni chiamano neoliberale, e che io chiamo semplicemente neoimperiale.
26) Quindi è addirittura illiberale, nonostante quello che dicono?
Illiberale, e a questo punto questo settore, diciamo così, della destra, che si può vedere da posizioni diversissime, da quella di De Benoist in Francia alle posizioni della rivista Eurasia in Italia, secondo me diventa intellettualmente un interlocutore, per cui io non accetto che mi s' impedisca di averli come interlocutori, naturalmente non sono i soli, io ritengo tuttora che i miei interlocutori principali siano gli studiosi marxisti, cioè semplicemente non ho permesso neppure a mio padre, morto nel '93, di dettarmi dei tabù dell’impurità, figuriamoci se adesso io lo permetto, visto che non l’ho permesso a mio padre, al gossip irresponsabile alla Indymedia.
27) Quindi per lei questo dialogo è anche una fonte di maggiore libertà ?
Intanto è una anche una forma di realizzazione e di autenticità.
28) Cerca la verità dovunque possa essere...
Quando si è giovani si è ancora molto più dipendenti dal giudizio degli altri, perché si vuole essere, per così dire, accettati, e questo vale sia negli atteggiamenti, negli abiti, nella musica, nei comportamenti sessuali, e così via. Quando si raggiunge una certa età, effettivamente, uno se ne frega.
29) Quindi ha raggiunto una maggiore indipendenza. Collegandoci sempre a quanto mi stava dicendo, alcuni effettivamente l’hanno criticata per aver rivalutato alcuni aspetti del giornalista, editore e scrittore Alain De Benoist, ideologo della Nuova Destra francese, approdato ad alcune posizioni antimperialiste. Può rispondere in questa sede a tali critiche?
Io da un lato ho avuto pubblicata, dall' editore Controcorrente di Napoli, a cura di un intellettuale onesto come Giaccio, una traduzione italiana di un dibattito avuto tra me e Alain De Benoist. Però, tra poco, sulla Settimo Sigillo, uscirà un libro ancora più importante, un mio libro che si chiama «Il paradosso Alain De Benoist». Il libro uscirà entro Natale, per cui tutti quanti lo potranno leggere: sono duecento pagine di un mio confronto con De Benoist su tutti i punti fondamentali: comunismo, fascismo, America, religione, politica, la geopolitica, ecc... Però, brevemente, posso dire questo: De Benoist è due cose contemporaneamente, da un lato è l’esponente più famoso della nuova destra, dall’altro l’intellettuale indipendente che ha portato così avanti l’autocritica della nuova destra, da non essere neppure più di destra.
30) E’ andato al di là poi della destra e della sinistra.
Esattamente, per cui lui è entrambe queste cose. E' chiaro che per me il rapporto con De Benoist è interessante perché De Benoist, visto come intellettuale di destra, parla con me, intellettuale di sinistra: questo è il primo aspetto del problema; il secondo aspetto è che De Benoist è andato oltre la destra così come sono andato io oltre la sinistra. Mi rendo conto che sono due cose un po’ contraddittorie, ma secondo me sono in compresenza contraddittoria. Dunque non soltanto io rivendico questo rapporto con De Benoist, ma spero di poterlo sviluppare ancora ulteriormente in futuro: attenzione, come potrei svilupparlo con qualunque intellettuale di estrema sinistra, se io fossi in collegamento con Chomsky ne sarei onorato.
31) Quindi, è il retaggio che avete rispettivamente di destra e di sinistra, ma fondamentalmente siete al di là di ciò, siete in una posizione in qualche modo trasversale, e siete arrivati ad un punto comune.
Sì, sì, io lo definirei traversare il guado più che arrivare veramente a un punto. Quando uno attraversa il guado, cioè a metà del guado, a metà dell’attraversamento del fiume, si porta dietro gli elementi del passato e va verso gli elementi del futuro, però in un certo senso è ancora metà del guado. Per certi aspetti io e De Benoist siamo ancora a metà del guado, non soltanto per le nostre insufficienze personali, ma anche perché non si è ancora creato un movimento storico, e nessuno sa se veramente si creerà, che andrà veramente in modo maggioritario oltre la dicotomia sinistra – destra. Siccome nessuno lo sa, nessuno lo può sapere. In questo momento la dicotomia sinistra – destra ha un valore sistemico di appartenenza identitaria, mano a mano che importa meno sul piano storico tanto più bisogna galvanizzare i tifosi, come capita nel tifo calcistico. Cioè tanto più bisogna galvanizzare Prodi contro Berlusconi, quanto più gli elementi fondamentali di alleanza con l’America e di teoria economica sono simili.
32) Quindi possiamo dire che in un certo senso c’è un doppio binario, da una parte la destra e la sinistra soprattutto governative che si assomigliano sempre di più, dall’altra le aree soprattutto radicali di destra e di sinistra che s’incontrano, vanno oltre la loro stessa natura di destra e di sinistra.
Sarebbe bene se così fosse, ma non è così, perché da parte della sinistra ci sta l’elemento del tabù dell’impurità, per cui non si parla con i fascisti, e pochissime persone, che sono peraltro antifasciste, come lo sono io, hanno superato il tabù dell'impurità, e dall’altra parte, a destra, c'è chi secondo me ha una insufficiente autocritica del passato, di fiancheggiamento, di appartenenza nazifascista. Questi elementi rendono difficile un processo che sarebbe positivo se si sviluppasse.
33) Ci sono però alcuni segni di questo processo.
Sono segni minimi, non fanno ancora una massa critica. Il fatto per esempio che io, Costanzo Preve, sia così in fondo isolato, può essere visto in molti modi.
34) Lei potrebbe essere un’avanguardia: che ne dice?
Però, capisce, io non ho un atteggiamento di chi dice: sono all’avanguardia perché il mondo intero è fatto da idioti, tolto io che capisco tutto. Chi pensa queste cose va verso la sua rovina o va verso la paranoia, lo capisce benissimo, no? Io invece vedo in questo mio isolamento un fatto molto negativo, io vorrei avere molti più amici di come ne ho, il fatto che sia così in fondo così isolato lo interpreto non tanto con l’orgoglio dell’avanguardista, del pioniere o del pilota, quanto come il segnale che le cose che io penso non sono ancora socialmente mature.
35) Forse è anche un segno del fatto che ci siano dei problemi a volte a vedere in modo razionale le cose, non di rado prevalgono impulsi irrazionali.
Esatto, questo sempre, però siccome l’impulso irrazionale fa parte della storia, io rimango in questo senso un marxista, nel senso che se le opinioni che io ho sono così minoritarie, questo fatto non mi porta nessun dolore e nessuna vergogna, perché non seguo lo storicismo, secondo cui chi vince ha sempre ragione, cioè io non interpreto in questo modo Hegel: quella è una posizione idiota degli storicisti.
36) Cioè respinge la posizione che giustifica tutto quello che è accaduto, perché è accaduto...
Sì, questo del mio isolamento è un sintomo negativo del fatto che le cose che io penso e continuerò a pensare sono ancora socialmente immature: o io sono uno stupido e gli altri hanno ragione, ma io non posso arrivare a questa conclusione sicuramente, oppure devo pensare che io dico delle cose intelligenti, ma che non sono ancora storicamente mature.
37) Sì, ma infatti probabilmente ci vogliono anche tempi storici, a volte sono necessari secoli, però poi tanti concetti si affermano.
Il fatto però è che tante volte questi processi non coincidono con i tempi psicologici della vita umana.
38) Questo dispiace veramente.
Io ho 63 anni. Se i tempi storici sono 20-30 anni a me non importa molto, capisce? Cioè voglio dire, uno può essere contento che ci siano dei tempi storici, ma siccome i tempi storici non equivalgono ai tempi psicologici della vita umana, la frustrazione del singolo intellettuale è a questo punto inevitabile.
39) Sì, anche se comunque questa idea può dare un qualche senso al proprio percorso, nonostante l'amarezza.
L’amarezza naturalmente non può essere eliminata, fa parte della vita umana, la vita umana non è fatta solo di gioie ma anche di dolori. Non soltanto di riconoscimenti ma anche di disconoscimenti. Ma, vede, per chi crede in Dio, per chi crede nel comunismo inteso come avvento inevitabile della storia, i sacrifici hanno un senso, ma siccome io personalmente non credo nell’avvento inevitabile di nulla, ma penso che siano gli esseri umani a fare tutto, capisce, l’amarezza è ancora maggiore.
40) Passando ad un’altra domanda, lei ritiene auspicabile valorizzare il concetto di comunitarismo, presente anche in Marx a proposito del modo di regolare la propria vita di certe comunità in senso non atomisticamente individualistico (detto in estrema sintesi, perché chiaramente sarebbe un concetto molto ampio), rispetto al ruolo del partito guida valorizzato da molti teorici dello stesso marxismo. Tenendo presente che in questa sede non si possono riassumere tutti i concetti che lei ha già espresso in particolare nel suo libro «Elogio del Comunitarismo», edito dalla Controcorrente, può chiarire alcuni tratti essenziali di questo progetto politico-filosofico, in particolare ciò che differenzia la sua idea di comunitarismo da omonimi progetti che si collocano invece nel mondo dell’estrema destra, in forze di radici fasciste?
Esistono molti comunitarismi, in realtà non esiste un solo comunitarismo. Il comunitarismo è per così dire una tendenza come l’illuminismo o il romanticismo o il positivismo. Per cui, dire comunitarismo è come dire illuminismo, romanticismo, positivismo, cioè vuol dire sette – otto cose diverse, non una sola. Fatta questa premessa, che è molto importante, il comunitarismo dalla direzione di destra presenta due fondamentali caratteristiche: la gerarchia e l’organicismo. La gerarchia, in quanto è un comunitarismo gerarchico, che per così dire fa riferimento a comunità precedenti tradizionali concepite come gerarchiche, pensiamo a Julius Evola e così via, e poi in secondo luogo l’organicismo, per cui l’individuo viene visto come un prodotto decadente dell’illuminismo, e invece viene evocata una specie di integrazione tra individuo e comunità. Io mi oppongo ad entrambe queste cose, mi oppongo al gerarchismo perché personalmente sono per l’illuminismo e credo nella possibilità di una comunità egualitaria, e mi oppongo anche all’organicismo perché ritengo, a differenza di moltissimi comunitaristi, compresi anche quelli di destra, che l'emergere dell’individuo libero a partire dal '600 e '700 sia irreversibile, e perciò ogni forma di comunitarismo che vuole combattere contro l’individuo libero è destinata a fallire. Io sono contro la condizione del comunitarismo che fa sì che le famiglie obblighino le figlie al matrimonio combinato…
41) Cioè ai casi in cui la comunità in qualche modo finisce col sopraffare le libertà individuali?
Esattamente. Per cui, secondo me, il vero problema è portare avanti una concezione di comunitarismo, e ce ne sono molte, io non penso di essere il titolare della ditta chiamata comunitaria…oppure del logos, del trend, e così via ...Io penso soltanto di proporre una mia personale concezione del comunitarismo che considero intelligente, perché da un lato essa tiene conto del fallimento del comunismo storico novecentesco e cerca di capire se questo fallimento è dovuto a un cattivo comunitarismo autoritario e a una forma di individualismo atomistico legata alla paura della repressione del partito. Per cui, da un lato il mio comunitarismo è direttamente una forma di elaborazione dialettica del fallimento del comunismo, dall’altro è una polemica nei confronti della proposta individualistica che oggi è legata al modello capitalistico imperialistico anche in forme ingannatorie, come quello dell’apparente multiculturalismo, e dall’altro naturalmente si oppone a tutte le varianti del comunitarismo di destra, che si basano sulla gerarchia tradizionale oppure sull’organicismo del gruppo. Mi rendo conto che è un sentiero molto stretto in mezzo a queste rocce .... Però è quello che io porto avanti, e ci credo molto, nel senso che sono convinto che sia un sentiero fecondo ed intelligente. In questo momento mi rendo conto che i miei interlocutori sono pochi, perché la sinistra per lo più non mi legge mica più, quando qualcosa esce da un editore di destra non leggono neanche il libro. Il libro non viene neppure recensito. Io mi rivolgo a lettori nuovi, non mi rivolgo a lettori vecchi.
42) Però ne ha trovati di nuovi pure legati intorno al Campo Antimperialista, alla rivista Eretica, quindi proprio di sinistra…
Sì. Il Campo Antiimperialista secondo me fondamentalmente è un gruppo della sinistra estremista tradizionale, io collaboro con questo Campo Antimperialista, naturalmente abbiamo in comune l’elemento antimperialista, però non ne faccio mio assolutamente il profilo ideologico, che secondo me è una variante dell’estrema sinistra tradizionale.
[Questo articolo è stato pubblicato sui giornali Deasport, Caserta24ore, Ciaoeuropa, Italia Sociale]