Intervista ad Augusto Sinagra

Augusto Sinagra

Uno dei più illustri avvocati e professori di Diritto (all'Università La Sapienza di Roma), Augusto Sinagra, in questa intervista esprime, con particolare cognizione di causa, perplessità e rischi legati al Mandato di Cattura Europeo, che rischia di compromettere tanti aspetti di una civiltà giuridica che, soprattutto nel passato, era fiorita soprattutto nel nostro Paese.

1. Lei come Professore ordinario di diritto dell’Unione europea nell’Università “La Sapienza” di Roma, si è espresso contro il mandato di arresto europeo. Può esprimere una sua opinione che metta in luce perché, a suo parere, la “decisione quadro” che introduce il mandato di arresto europeo pone a rischio le libertà individuali oltre che la libertà personale?

Tra i diversi profili allarmanti e pregiudizievoli per le libertà civili e politiche che si ricavano dal testo della “decisione quadro” che introduce il mandato di arresto europeo e che in nessun modo si conciliano con le essenzialità di uno Stato di diritto (e a volere escludere che vi sia stata con il mandato di arresto europeo una preordinata intenzione di conculcare libertà di pensiero, libertà di opinione, oltre che libertà personale, costringendo i cittadini ad adeguarsi, anzi a subire, la peggiore violenza: quella morale della obbedienza ad un pensiero “unico” e sopraffattorio), vi è che la normativa comunitaria, come peraltro recepita con la legge nazionale italiana di attuazione, elude in modo volgare il principio essenziale caratteristico di queste forme di cooperazione giudiziaria internazionale (mi riferisco all’estradizione) rappresentato dalla esigenza della doppia punibilità; e che cioé il reato per il quale si chiede l’arresto e la consegna della persona sia previsto nell’ordinamento giuridico dello Stato richiedente come in quello dello Stato “richiesto”. Nel mandato di arresto europeo, infatti, come nella legge nazionale italiana di recepimento, vi è solo un elenco di reati indicati con il loro solo nome (e anche in modo improprio ed approssimativo); laddove, viceversa, il principio garantistico essenziale prima evocato richiede, per avere un senso, la corrispondenza sostanziale largamente apprezzabile delle fattispecie penali normativamente “tipizzate”. Un esempio: se si parla di terrorismo, di frode o di sabotaggio, come si legge nel mandato di arresto europeo, chi può dire e come può dire in che cosa consista l’atto di terrorismo, la frode, l’atto di sabotaggio? Fattispecie che possono essere e sono radicalmente diverse e differentemente descritte nei diversi ordinamenti giuridici penalistici degli Stati membri dell’Unione europea.

2. Lei ha sostenuto che il mandato di arresto europeo non offre neppure la garanzia di un normale processo estradizionale; può illustrarne il perché?

La risposta a questa domanda è già contenuta –almeno per un’aspetto essenziale e forse il più importante- nelle riflessioni da me prima esposte. Anche se molto altro vi sarebbe da dire circa il problema evocato e che cioè altre garanzie del procedimento estradizionale non sono presenti nel “meccanismo” del mandato di arresto europeo.

3. Ci sono degli Stati nei quali il mandato di arresto europeo è già in vigore? Negli Stati dove è in vigore ha già prodotto danni alle libertà civili e politiche oltre alle garanzie fondamentali che devono presiedere il “giusto processo” penale?

Il mandato di arresto europeo è già in vigore nella quasi totalità degli Stati membri dell’Unione europea. E certamente ha già prodotto danni gravissimi sul piano delle libertà civili e politiche e delle garanzie giurisdizionali. In Italia, in particolare, dove il mandato di arresto europeo è stato recepito con apposita legge, vi è da dire che, da un canto, tale legge di attuazione non ha apportato alcun correttivo né alcuno strumento di prevenzione nei confronti dei rischi alle libertà democratiche con tale strumento di cooperazione giudiziaria internazionale (ma forse sarebbe meglio dire di persecuzione giudiziaria internazionale), ma quel che è peggio è che la giurisprudenza della Corte di Cassazione che fino ad oggi si è formata a proposito di tale normativa europea e nazionale, non solo non ha introdotto alcuna misura correttiva pur nei limiti di una consentita attività di interpretazione (specie in rapporto ai principi fondamentali della nostra Carta costituzionale) ma, quel che è peggio, ha dato un’interpretazione “elastica” direttamente della normativa comunitaria estendendone, da un canto, la “portata” e, d’altro canto, limitando ancor più nei fatti (intendo in sede di applicazione giurisprudenziale) quel minimo di garanzie di cui la persona richiesta in arresto avrebbe potuto avvalersi. Mantenimento di garanzie che avrebbe dovuto costituire un obbligo interpretativo ed applicativo della relativa normativa in conformità ai tanto declamati (ma non tanto attuati) principi che dovrebbero presiedere il “giusto processo”. Principi che di recente sono stati introdotti nella Costituzione della Repubblica italiana.

4. L’Italia ha particolare strumenti giuridici per ostacolare la piena entrata in vigore della normativa europea relativa al mandato di arresto europeo?

L’Italia avrebbe potuto e dovuto farlo con la legge di recepimento ma, come detto, non lo ha fatto e credo che null’altro possa fare ora lo Stato italiano sul piano giuridico. Qualche cosa si potrebbe e si dovrebbe pur fare sul piano politico nel recupero del senso della legalità e del senso pieno della democrazia (che non sono solo percentuali e sondaggi) che significa non solo libertà civili e politiche ma anche, e forse soprattutto, libertà e diritti sociali, economici e sindacali. Ma questo dipende dalla classe politica. E la classe politica italiana è quello che è. E se è vero che la classe politica viene scelta dal popolo, quest’ultimo se la merita.

Rimane solo la speranza di tempi migliori dove non si debba morire in carcere per non conformità al pensiero unico, o morire soffocati da un liberalismo politico negatore dei reali diritti e libertà e da un liberismo economico che provoca disoccupazione e che favorisce soltanto il profitto dell’impresa pregiudicando i diritti del lavoro e dei lavoratori.

[Questo articolo è stato pubblicato sui giornali Corriere di Aversa e Giugliano, Caserta24ore, Rinascita, Ciaoeuropa, Rivista Eurasia]



Antonella Ricciardi , 17 settembre 2007