Seconda intervista a Dagoberto Bellucci |
Bellucci durante l'aggressione israeliana al Libano del 2006 |
Nel colloquio più in basso riportato, svoltosi in
collegamento dal Libano, si esprime Dagoberto Bellucci, autore di numerosi
articoli, alcuni dei quali sono significative corrispondenze dal Libano per
diverse testate giornalistiche: tra queste figurano Avanguardia, Rinascita,
Eurasia, Italia Sociale. Bellucci analizza approfonditamente diversi motivi
ispiratori del mondo del quale è originario: quello della destra alternativa,
del quale mette in evidenze alcune caratteristiche ricorrenti ed anche, a suo
avviso, diversi limiti di fondo, presenti in parte dei suoi esponenti. Già
autore di diversi libri centrati sulla geopolitica e sulla spiritualità sciita
(cui ha aderito da tempo), Dagoberto Bellucci spiega, in particolare, i motivi
per cui considera non condivisibili gli atteggiamenti di diversi esponenti di
una porzione della destra, che si concentrano contro gli atteggiamenti di
singoli immigrati, senza attaccare i poteri forti che sono alla base della
globalizzazione, che, sul piano dei principi, proprio quella stessa area (nella
sua versione radicale) avversa per i suoi meccanismi di omologazione e
sradicamento che in numerosi casi vanno ai danni, innanzitutto, degli stessi
immigrati. Inoltre, Dagoberto Bellucci sottolinea quanto, assieme a critiche
certamente fondate riguardo il comportamento negativo di alcuni stranieri, vi
siano anche, a volte, degli atteggiamenti realmente xenofobi da parte di certi
esponenti ed attivisti politici italiani: si tratta di una intolleranza
preconcetta verso la diversità in quanto tale, naturalmente becera, e che
rischia di fomentare "guerre tra poveri", inutili e da evitare. Il vero
discrimine tra le persone, invece, non deve essere basato su caratteristiche
somatiche e cromatiche, ma sulle qualità spirituali, per Bellucci. In effetti,
Dagoberto Bellucci ha sempre avversato generalizzazioni ingiuste ai danni di
categorie considerate "diverse", considerando tali generalizzazioni un (non
molto rischioso) modo di prendersela con chi è debole; anche nella sua vita
privata, egli ha intrecciato amicizie e rapporti sentimentali con persone delle
più varie provenienze, avendo vissuto, per fare solo alcuni tra i diversi esempi
possibili, legami d'amore con persone di nazionalità rumena, palestinese,
libanese. Inoltre, nella testimonianza di Dagoberto Bellucci è presente anche
un'analisi approfondita del ruolo della donna nell'Islam in generale ed in
alcuni specifici Paesi musulmani, con particolare attenzione alla realtà
libanese, nella quale prevale l'integrazione tra le tradizioni locali ed una
modernità in parte proveniente dall'esterno.
1) Sei da tempo critico per il modo in cui, in molti ambienti di destra
(moderata e radicale) si confondano conseguenze indubbiamente negative legate al
fenomeno dell'immigrazione (sradicamento, vita di espedienti che a volte sfocia
nell'illegalità) con una tendenza troppo accentuata a generalizzare ai danni
degli stranieri, in qualche modo demonizzandoli. In effetti la questione della
sicurezza (pur essendo un'esigenza giusta e legittima) non s'identifica
completamente, ma solo in parte, con questioni relative all'immigrazione: è
infatti connessa, ad esempio, anche alla lotta alla mafia, ed il diritto alla
sicurezza vale naturalmente anche, ad esempio, per i bambini rom cacciati da
Ponticelli... Puoi spiegare più dettagliatamente in che modo le due questioni
vadano distinte, ed i motivi per i quali ritieni che il concentrarsi nelle
critiche negative troppo generalizzate contro rumeni, zingari, nordafricani,
ecc... sia un modo non proprio lodevole di prendersela con i più deboli?
Le critiche all'area neofascista non sono legate esclusivamente al fenomeno
immigratorio ma a quanto prodotto da un ambiente politico e umano in crisi
d'identità da troppi anni. Le scelte di molti sono risultate decisive per la
frantumazione e la successiva decomposizione di realtà che avevano, e
potenzialmente avrebbero tuttora, molto da dire e da dare alla politica
italiana. Come saprai il riavvicinamento a determinate realtà di quest'area mi
ha portato a comprenderne le recenti posizioni anche in fatto di immigrazione:
comprendere non significa accettare tout court ma, senza mezzi termini, e'
palese per chiunque che esista un problema collegato alla presenza sul
territorio di masse di immigrati fuori da ogni controllo con conseguenti
problemi di sicurezza e ordine pubblico. E qui si pone la vera questione
dell'"emergenza immigrazione": chi ha favorito e perchè questa "invasione" del
continente europeo e quali interessi, anche contrapposti, siano legati a questo
problema. Se da un lato i progetti delle centrali di controllo mondialiste sono
quelli di spingere masse di diseredati verso i paesi ricchi del nord del mondo
d'altra parte questa situazione ha concentrato sul suolo nazionale e
continentale milioni di sradicati. L'immigrazione e' dunque un problema di
ordine pubblico e di sicurezza ma, contemporaneamente, anche un rischio di
sfiguramento razziale del vecchio continente. Ora se si considera il ruolo che
viene giocato abilmente dai mass media, dalle immagini artificiali che vengono
propagate in ogni parte del pianeta di società opulente e benestanti direi che
sia facile comprendere perchè questo resterà un fenomeno incontrollabile per i
prossimi decenni. Non esistono formule valide per controllare un così massiccio
flusso di reietti e disperati che spesso non hanno niente da perdere... è
l'"american way of life" il 'sogno' che accompagna le navi della disperazione a
giungere sulle coste dell'Europa. Un 'sogno' che diviene rapidamente incubo non
appena questi disgraziati si rendono conto delle reali condizioni di vita che
potranno un domani ottenere stabilendosi sul nostro continente. Un continente in
profonda crisi economica e sociale che non ha assolutamente ne' la forza di
approntare riforme strutturali valide e si trova preda di un sistema economico
mondiale globalizzato dove qualsiasi tempesta finanziaria, qualunque conflitto,
possono rendere deboli società del benessere effimero prodotto dalla
globalizzazione. L'Europa, diciamocelo, non è più. Non esiste un progetto comune
ne' esisterà mai. Non abbiamo una politica economica ne' estera comune e tutti
sanno perfettamente che quest'Unione rappresenta esclusivamente gli interessi
dell'Alta Finanza. I primi a pagare sono i popoli europei. E gli italiani, tra
questi, sono quelli probabilmente messi peggio: disorganizzazione,
pressappochismo, individualismo e clientelismi vari hanno pesato non poco
sull'imbarbarimento della vita politica. Ora, tornando al problema immigratorio,
dobbiamo prospettare prossime "guerre razziali" (e di fatto lo scenario che ha
contrassegnato diverse città europee è questo) per un risveglio del Vecchio
Continente o - come sarebbe opportuno - non sarebbe necessario un cambio di
rotta radicale del sistema politico ed economico? Non sarebbe forse l'ora di
rimettere in carreggiata lo sgangherato treno-merci europeo cambiando magari la
locomotiva? Abbiamo avuto l'esempio dalla Russia capace, in meno di vent'anni,
di passare dall'adesione tout court al modello occidentale ad un progressivo
rifiuto fino ad una presa di coscienza in senso nazionale che è stata favorita
dalla presidenza Putin (sicuramente l'unico autentico stratega europeo del XXImo
secolo nonchè leader politico capace di favorire realmente gli interessi del
proprio paese). Immigrazione e ordine pubblico o sicurezza che dir si voglia
sono due facce della stessa medaglia...
Una patacca a sei punte puntata contro il cuore dell'Europa da oltre
sessant'anni. L'Europa e' una colonia a stelle e strisce, questa e' la sola
realtà fattuale e, come tale, ha seguito il "padrone" nelle sue scelte di
politica economica, sociale, militare. Il diritto alla sicurezza di cui parli
dovrebbe essere garantito a prescindere da questioni legate all'appartenenza a
questa o quella etnia o credo religioso così come si dovrebbe (e credo si tratti
esclusivamente di una questione di volontà) ripulire le nostre città dal marcio,
allogeno o meno che sia. Mi pare scontato che , finora, la classe politica
dirigente abbia favorito in ogni modo il degrado di interi quartieri, di città
intere. Non sono forse gli stessi che gli italiani continuano a votare? Non e'
forse la stessa classe politica e industriale che ha favorito da vent'anni a
questa parte ogni ibrido meticciamento, propagandato la società multiculturale e
multirazziale sul modello americano, l'utopia del Villaggio Globale? "Chi è
causa del suo mal pianga se stesso" verrebbe da dire. Se agli italiani sta bene
votare lorsignori del Potere, scegliere tra quale dei due poli farsi
rappresentare e meglio spremere direi che abbiamo la risposta alla tua domanda:
usciamo da questa condizione di sovranità limitata e cominciamo a comprendere
quali sono i reali interessi del Vecchio Continente e , inevitabilmente, anche
il problema immigratorio potrà essere affrontato e risolto. Le guerre tra
poveri, tra diseredati e sbandati di diverso 'segno' , come ci insegna la
storia, hanno sempre e solo rafforzato il Potere.
2) Ritieni corretto affermare che a volte, nell'area neofascista, non ci si
renda abbastanza conto che non si lascino per piacere i propri Paesi, e che gli
immigrati siano spesso le prime vittime di un sistema che, a livello mondiale,
sia guidato in maniera iniqua da determinati poteri forti?
Dobbiamo innanzitutto premettere che l'area "neofascista" (sotto molti aspetti
potremmo definirla "neomissina" il che già la dice lunga su quale sia la deriva
che è stata presa da determinati ambienti) di cui parliamo non ha fatto altro
che reagire, com'era logico attendersi, a determinate problematiche di ordine
socio-economiche e di legalità/sicurezza proprio nella maniera più prevedibile e
naturale. Al di là delle constatazioni fattuali sulla funzionalità o meno di
scelte politiche o elettoralistiche bisognerebbe soffermarsi invece sulle
circostanze che indiscutibilmente sono all'origine di queste posizioni
anti-immigratorie, sulle premesse naturali che ideologicamente e politicamente
erano alla base della visione della società moderna di questi settori marginali
della politica nazionale: quando sul finire degli anni ottanta/primi novanta
Franco Giorgio Freda profetizzava lo scatenamento di guerra razziali in
sostituzione di quelle ideologiche (con il superamento a sfondo xenofobo - non
razziale si badi bene - della dicotomia fascismo-antifascismo a vantaggio di una
politica radicalmente anti-immigratoria) con la costituzione di un movimento di
razzisti "schietti e dichiarati" che attorno al Fronte Nazionale avrebbe dovuto
coagulare le migliori energie in vista di questo 'helter skelter'
post-modernista fu facile prevedere che questo programma avrebbe inevitabilmente
finito per scontrarsi con la reazione del Sistema. Tematiche proprie del F.N.
peraltro influenzeranno altri settori della politica italiana e diverranno - nel
successivo decennio - un bagaglio 'culturale' per altre formazioni politiche ,
ben più consistenti in 'cifre' e presenti territorialmente, in primis la Lega
Nord che - da partito piccolo-borghese, bigotto, provinciale e reazionario (il
movimento dei salumieri e della piccola impresa, delle massaie e della classe
operaia del settentrione uscita a pezzi dal rivolgimento post-comunista della
Sinistra italiana e delusa dalle sirene del progressismo buonista
ulivista-arcobalenato) qual é - ha saputo condensare in un programma 'organico'
(passando attraverso le stagioni parodistiche delle ampolle e del dio-Po
'celtico', quelle dei parlamenti del Nord e delle adunate di Pontida, dell'odio
anti-romano e anti-clericale del primo periodo) le tematiche
dell'anti-immigrazione e dell'anti-islamismo non rinunciando a 'riscoprire'
improbabili "origini cristiane" o "cattoliche" ripudiate fino a pochi anni prima
nella fase 'protestataria' e indipendentista del movimento di Bossi&compagnia
bella. Niente di nuovo dunque nella Destra più o meno 'radicale' alla luce di
quella che è stata essenzialmente ne’ più ne’ meno una naturale forma di
reazione allo sviluppo del fenomeno immigratorio nel nostro paese. Come vedi non
si tratta di "non rendersi conto" dei drammi umani o delle motivazioni più o
meno reali che spingono masse di soggetti allogeni ad accamparsi nel nostro
paese bensì dell'esigenza di "cavalcare la tigre" di un malcontento sempre più
diffuso e vasto che attraversa oramai la società italiana nel suo complesso.
L'esito elettorale delle scorse politiche riflette questa 'tendenza': il
centro-destra berlusconiano semplicemente cavalcando la tematica della
"sicurezza" ha sbaragliato la concorrenza rappresentata essenzialmente da una
Si(o)nistra in totale crisi d'identità come si è visto anche recentemente dopo
il voto regionale sardo di poche settimane or sono. Quello che dovrebbe invece
preoccupare è il clima da "scontro delle civiltà" alla 'amatriciana'
instauratosi nei nostri quartieri, la sensazione di insicurezza e di pericolo
che affiora dalle tavole rotonde della politica così come dai discorsi "da bar
sport", l'insofferenza che diviene intolleranza e infine odio verso qualsiasi
forma di "diversità" (da qui appunto la corretta dizione di xenofobia = paura
del diverso che non ha niente a che spartire con una politica basata sui
principi della Razza di evoliana memoria) che ha colpito soprattutto negli
ultimi cinque-dieci anni gli strati socialmente più deboli della popolazione
italiana e il ceto-medio che sono peraltro maggiormente colpiti dalla crisi
economica e finanziaria globale. L'Occidente, nel suo complesso, paga 'dazio' e
sconta gli errori di fallimentari politiche buoniste. Gli italiani - non solo
l'estrema destra - si riscoprono intolleranti contro il diverso non importa se
asiatico, africano o europeo dell'est. Non è più decisiva l'appartenenza
religiosa (come avvenne per i musulmani durante il periodo da "caccia alle
streghe" seguente l'11 settembre 2001). Attualmente c'é preoccupazione per
l'alto numero di immigrati che - usiamo qui tutta una serie di stereotipi
fondamentali della 'xenofobia' contemporanea - "rubano il lavoro", i "posti
negli asili e nelle scuole" dei loro figli, "delinquono", "sono dediti ad ogni
attività criminale", riducono le strade e i quartieri delle "nostre" città in
autentiche cloache, rubano nelle case degli italiani, spacciano droga, stuprano
e, per di più, sono organizzati comunitariamente godendo - oltre alla protezione
propria di cui sono beneficiari all'interno della loro componente 'etnica'
(l'omertà tipica degli ambienti malavitosi) - di eccessivi "privilegi" dalle
amministrazioni comunali soprattutto quelle di sinistra. Ecco qui brevemente
riassunta la "questione immigrazione" (senza scomodare tesi da razzismo
zoomorfologico alla De Gobineau ne’ qualsivoglia 'ciancia' sullo stato organico
nazionalsocialista tedesco) con tutto l'armamentario di 'soluzioni' che
andrebbero dai sindaci-sceriffi alle ronde, dall'espulsione alla prevenzione
'sanitaria', dalla castrazione chimica al rimpatrio forzato. Ora sia detto per
inciso: i problemi sopra illustrati sono reali. Nessuno può negare che esista
questa situazione di fatto ne’ che vi sia un graduale e progressivo
deterioramento del livello e di sicurezza e di vivibilità nelle città italiane.
Il punto, a nostro avviso, rimane identico: trattasi di causa o di conseguenza
di una serie di politiche a dir poco destabilizzanti e distruttive del tessuto
nazionale? Per esser più chiari: stiamo parlando dei sintomi esteriori della
'malattia' o vogliamo occuparci anche, soprattutto, di combattere il virus che
ne è la causa scatenante? L'immigrazione rimane un problema, su questo non
esiste alcun dubbio ma domandiamoci quali sono le cause reali , le 'premesse' ,
che hanno favorito, fomentato e consolidato la presenza massiccia di stranieri
nel nostro paese. Al di là poi dei diversi singoli casi - etnia per etnia -
alcuni dei quali semplicemente il 'prodotto' delle politiche di
espansione-allargamento dell'Unione Europea verso Est (processo 'dinamico'
sgangherato, maldestramente etero-diretto dai poteri forti della finanza
cosmopolita e delle strategie di riassetto degli equilibri oligarchici del
vecchio continente all'indomani del crollo dei regimi del "socialismo reale"):
esemplare il 'caso' dei rumeni.
Ci lamentiamo della 'delinquenza' selvaggia dei nuovi arrivati dalla Romania
(rom o meno che siano)....immaginiamo quello che avverrà quando altre nazioni,
la Serbia per esempio o la Moldavia o l'Ucraina verranno ammesse a far parte
dell'Europa "allargata" dell'Euro e delle istituzioni plutocratiche di
Strasburgo...ci attende l'arrivo perlomeno di tre milioni e mezzo di 'soggetti'
di origine 'rom' o comunque zingari dalla sola ex Yugoslavia... Detto ciò
constatiamo che occorre comprendere in tutta la sua complessità la problematica
immigratoria per evitare da un lato inutili e dispersive "guerre tra poveri"
dall'altro l'infognamento della politica nazionale sui problemi di "ordine
pubblico" e "sicurezza dei cittadini" che , francamente, 'deleghiamo' più che
volentieri agli organi di polizia preposti e alla Magistratura... Non siamo
'birri' di 'complemento'. Come 'indicazione' ideologica e come 'direzione' di
'marcia' per questi Tempi difficili che attenderanno la comunità nazionale e
quella europea noi diciamo che la sola ricetta per fuoriuscire dal caos prodotto
dalla post-modernità capovolta e dalla demenzialità contemporanea sia
l'affermazione di una autentica coscienza razziale assieme ad una serie di
interventi di politica economica ed estera necessari per abbandonare lo stato di
sudditanza nel quale si trova l'intero continente rispetto agli Stati Uniti.
Questa 'svolta' decisiva potrebbe forse salvare il salvabile o quantomeno
limitare i danni prodotti dalle fallaci istigazioni a "scontri di civiltà" che
hanno prodotto questo 'clima' da "difesa dell'Occidente" oramai avvertito dalla
stragrande maggioranza della popolazione italiana.
3) Questa tua maggiore sensibilità nei confronti degli
immigrati deriva in te, che in qualche modo sei parte dell'area di destra
alternativa, anche dall'avere soggiornato a lungo all'estero, dove eri tu il
"diverso". Puoi spiegare più nei particolari le circostanze che ti hanno portato
a queste riflessioni?
L'esperienza di vita sicuramente 'aiuta' a comprendere meglio determinate
situazioni, ad avere una maggiore sensibilità rispetto alla condizione nella
quale si vengono a trovare in Italia molti immigrati. Ma occorre anche essere
onesti con se stessi e concludere che, indipendentemente dai percorsi personali
e dalle differenti interpretazioni che si può avere o dare del fenomeno
immigratorio (e che peraltro non ci hanno precluso mai alcuna 'penetrazione'
negli stessi ambienti dell'estrema destra per i quali , sia detto per inciso, 'muslim'
o meno per molti camerati restiamo 'fanaticamente' e lucidamente
nazionalsocialisti il che la dice lunga molto più di tante chiacchiere su come
siano 'avvertite' le nostre posizioni apparentemente 'eretiche' rispetto alle
idee 'correnti' nell'Area), non è essenzialmente l'aver vissuto dall'interno
(quindi mai completamente in posizione "esterna" rispetto alle dinamiche sociali
e politiche) e partecipato anche 'attivamente' ad avvenimenti che hanno
coinvolto il Libano negli ultimi cinque anni che ha dato origine alla nostra
presunta o apparente "eresia" rispetto al problema immigratorio. Intanto,
chiariamolo subito, in Libano abbiamo sempre goduto e continuiamo a godere di
ampia libertà d'azione e della fraterna attestazione di stima e cameratismo
degli ambienti più vicini alla Resistenza. Quindi nessuna "diversità" ma anzi
piena consapevolezza di una condizione 'particolare' di europeo e
islamico-shiita operante nella realtà multiconfessionale e multietnica libanese.
La questione relativa a una vera o presunta "sensibilità" del sottoscritto
rispetto all'arrivo di masse allogene in Italia non si 'pone': non abbiamo mai
mutato posizione dai tempi dell'esperienza nella Comunità Politica di
"Avanguardia" vissuta al fianco dell'unico 'soggetto' autenticamente,
fanaticamente e radicalmente anti-sistemico fino ad oggi 'incontrato' sulla
nostra strada ovvero Maurizio Lattanzio, il Grande Guascone di Popoli alias la
'penna a sonagli' che sferzava mensilmente i camerati ad 'aprire gli occhi'
invitandoli a lasciar da parte qualsiasi razzismo 'cromatico' (appunto di
degoubeniana e ottocentesca memoria) a vantaggio di un razzismo 'spirituale' che
fondasse la propria azione politica e concentrasse sulla questione ebraica gli
sforzi per la costituzione di un movimento autenticamente antagonista e
rivoluzionario...A distanza di diciassette anni siamo ancora 'debitori' al
Principe del Nulla di questa 'energica' iniezione dei 'fondamentali' (
un'autentica overdose di 'anticorpi' rispetto alla xenofobia e al razzismo
zoomorfologico ) dell'azione politica. Come allora riteniamo necessaria una
preliminare 'ripartenza' strategica sia da un punto di vista puramente teorico -
mancano difatti le 'basi' ovvero l'abc della politica - che da qualsivoglia
tentativo di 'attivismo' che risulta peraltro attualmente irrilevante e
insufficiente per come proposto e per l'incisione/influenza che può avere
all'interno della società italiana. Occorre cioè una 'scuola-quadri' per la
formazione delle nuove leve e quel "catechismo ideologico" fondamentale per
creare coscienze in 'ordine' prim'ancora della ipotetica classe dirigente e
militante di un partito o movimento che voglia realmente opporsi al Sistema. E
la premessa essenziale perché ciò possa avvenire dev'essere innanzitutto una
revisione totale - il check up dell'Area dimostra che il 'paziente' è
all'estrema unzione o poco più - della 'macchina' infondendo nuova energia,
immettendo dosi di fiducia, rinnovando mentalità e uomini ma soprattutto
affermando una volontà di potenza che dev'essere la base di qualsivoglia azione
politica. La politica ha un solo obiettivo: la conquista del potere. A questo
obiettivo infatti tendono gli sforzi di qualunque movimento o partito, minuscolo
che sia, che pretenda di fare politica. E la politica è l'arte dell'impossibile
e come tale dev'essere intesa dagli uomini di 'razza' che intenderanno
cimentarsi nell'arena elettorale o in quella più specificamente militante. Il
fine giustifica ovviamente i mezzi, tutti i mezzi! Come si vede la sensibilità
verso gli immigrati, vera o presunta, o l'aver soggiornato all'estero per anni
non c'entrano assolutamente niente sulla direzione data al nostro cammino
politico ne’ tantomeno sulla nostra personalissima visione del mondo per la
quale - ci si 'consenta' - al di fuori della questione ebraica e della sua piena
comprensione 'poco' quasi niente ha realmente valore. E parafrasando una
'massima' a noi 'cara' - dal testo di una nota canzone di Luca Carboni - "ci
vuole un fisico speciale per fare quello che ti pare/perchè di solito a nessuno
vai bene così come sei". E' questo un 'problema' che ovviamente non ci ha mai
'spostato' di un centimetro neanche il pacchetto di Muratti Ambassador che
quotidianamente fumiamo. Evola scriveva "Agire senza guardare ai frutti...." e
disinteressandosi dell'approvazione o disapprovazione altrui. E' quello che
facciamo oramai da una vita. Piaccia o meno."
4.) A parte la questione dei danni reali che
un'immigrazione incontrollata, nella quale possono inserirsi facilmente anche
criminali, può portare, pensi che abbia diffusione, in una parte non
trascurabile dell'opinione pubblica, un atteggiamento intollerante di rifiuto
verso il diverso in quanto tale (a prescindere dal suo comportamento) e che si
tratti, nel tal caso, di una impostazione da biasimare? La domanda sorge in me
anche tenendo presenti le critiche che la tua area politica di origine rivolge
alla globalizzazione, in quanto sradicatrice di popolazioni ed, in questo senso,
irrispettosa delle differenze che tende invece ad appiattire; ricordo anche,
inoltre, il tuo citare, a suo tempo e proprio in riferimento al voler
forzosamente omologare gli "altri" (che fossero zingari, beduini, ecc...) Renè
Guènon, il noto scrittore e filosofo francese convertito all’Islam, il quale affermava che uno dei segni negativi della "fine del mondo" ci
sarebbe stato con la eventuale scomparsa dei popoli nomadi, in questo caso
assurti a simbolo di una delle varietà storiche di organizzazione delle società
umane...
Il senso profondo della critica alla globalizzazione (che è economica ma investe
oramai ogni settore dell'esistenza umana non da ultimo i rapporti interpersonali
e quelli dell'individuo all'interno di una società) nasce proprio come difesa
delle identità che sono le radici - razziali e religiose, culturali e politiche
- dei popoli. Un popolo sradicato dalla
propria identità diviene una facile preda dei differenti impulsi anche emotivi
che sono suscitati dalla modernità nelle sue diverse manifestazioni.
Analogamente un individuo senza terra e senza patria, privo di valori di
riferimento (e qui possiamo parlare sia di valori metafisici che di quelli
metapolitici), sarà a sua volta vittima più o meno cosciente delle facili
seduzioni della società moderna e di 'etat's d'esprits' , di stati emotivi, di
forze anche occulte che ne paralizzeranno l'azione. A proposito di Renè Guènon è
opportuno in questo contesto citare quanto scrisse in merito alla "crisi" del
mondo moderno (che in ultima analisi è il problema centrale di tutti i problemi
finora affrontati) partendo dal presupposto che lo sviluppo di ogni
manifestazione implica necessariamente un allontanamento sempre maggiore dal
principio da cui essa procede. In questo senso la civiltà occidentale moderna
vive solo di quel che le civiltà precedenti non vollero per se stesse nel
passato: l'individualismo, il materialismo, il livellamento 'democratico' verso
il basso, la cieca fiducia nei mezzi della tecnica e della scienza moderne, il
rifiuto dei valori spirituali e tradizionali. E' lo stesso filosofo francese a
insegnarci che l'opposizione tra Occidente ed Oriente è un'invenzione recente
"che non aveva alcuna ragion d'essere quando anche in Occidente esistevano delle
civiltà tradizionali" e come tale questa dicotomia - straordinariamente
rappresentata dalle teorizzazioni neoconservatrici statunitensi di quello
"scontro delle civiltà" di cui fu primo teorico Samuel Huntington - "...acquista
senso (...) quando si tratta specificamente dell'Occidente moderno, poichè - è
sempre Guènon a scriverlo ne "La crisi del mondo moderno" - una tale opposizione
è più fra due spiriti che non fra due entità geografiche più o meno nettamente
definite." In questo contesto dunque la parola Globalizzazione acquista un senso
definitivo: la modernità ha favorito la scomparsa delle società tradizionali
muovendosi da Occidente a Oriente. E' questo spirito 'occidentale' ( vera e
propria 'tentazione tragica' dell'uomo occidentale, 'febbre' o 'isteria' di
massa, influenze di cui l'individuo occidentale è rimasto per primo vittima e
che hanno scatenato autentici deliri da onnipotenza e spesso cadute che hanno
avuto ripercussioni negative e profonde anche sulle società tradizionali del
resto del pianeta) che si deve partire per comprendere appieno i processi
globalizzanti in atto: è un circolo vizioso che alimenta queste dinamiche di
esproprio dell'anima e delle tradizioni dei popoli. Metaforicamente ci verrebbe
in mente l'immagine del Faust in preda alla sua brama di potere...un individuo
che precipita quotidianamente verso il proprio ineluttabile destino sancito con
un patto infernale...l'Occidente è quest'individuo. Ciò che contraddistingue la
'direzione' di marcia dell'uomo occidentale moderno è la sua pretesa di
adempiere ad una sorta di missione con uno spirito dissolutivo che non ha niente
a spartire con lo "spirito da crociata" di medievale memoria ma ricorda
soprattutto certi tratti demoniaci tipici della contro-tradizione.
Occorre saper riconoscere questa direzione discendente della modernità in tutte
le sue manifestazioni (non da ultimo quelle neo-spiritualiste, sincretiste e
occultistico-sataniche) altrimenti si rischia di non comprendere la dimensione
reale del problema e cosa realmente significhi l'attuale "spirito" che influenza
di sè la modernità.Uno spirito che si è impossessato di una macchina
(l'Occidente) lanciandola a tutta velocità, in una folle corsa verso il nulla,
contro il resto dell'umanità: questa è la Globalizzazione nella sua intima
essenza. Un meccanismo diabolico che pervade di uno spirito dissolutivo e
negativo il resto del pianeta mediante armi di distruzione e seduzione di massa
ed è questa la novità assoluta che dovremmo cercare di comprendere nella sua
proporzione e vastità quando si tratta di capire la frenesia occidentale di
esportare concetti universalistici come la democrazia, l'uguaglianza o la
fraternità
universale. Altri autori, dal "tramonto dell'Occidente" di spengleriana memoria
passando per Evola, Huizinga, Keyserling o Massis fino all'"uomo ad una
dimensione" dell'ebreo Marcuse, hanno cercato di dare una risposta a questa
"crisi" della società moderna, pochi hanno saputo ricondurre questa crisi
generale - e quindi tutte le sue cause e le manifestazioni che di esse sono il
prodotto - alla perdita di un "centro", di un "motore immobile" concetti che
appartengono indiscutibilmente al mondo della Tradizione. Per avere un'idea
chiara di cosa rappresenti questa crisi occorre quindi conoscere, studiare e
possibilmente vivere come esperienza personale diretta, i valori del mondo della
Tradizione: sono i punti di riferimento essenziali per procedere ad una
ricognizione analitica sui disastri prodotti dalla modernità."
5) Ancora a proposito dei tuoi viaggi, sei stato spesso e sei tuttora in
Libano, per motivi culturali, spirituali (la tua adesione all'Islam sciita) e
per le tue corrispondenze per diversi organi giornalistici. Inoltre, sei stato
anche in Iran, per motivi dello stesso genere. Tutto ciò può averti portato ad
approfondire la questione del ruolo della donna nell'Islam: puoi, così,
illustrare i più importanti aspetti di tale ruolo? Ed hai riscontrato eventuali
differenze significative tra il modo con cui viene trattata la figura della
donna nel Corano ed i modi in cui, in molti Paesi musulmani, ci si rapporta con
la realtà femminile?
La conversione all'Islam ha influenzato 'relativamente', diciamo pure per
niente, la nostra 'idea' del ruolo della donna e della sua 'identità' o per
esser più corretti della sua 'natura' controversa e spesso contorta. Crediamo
che sia non essenziale l'influenza esercitata dall'appartenenza alla comunità
islamica o quella determinata dalla nostra fede considerando l'assidua
'frequentazione' - anche 'biblicamente' parlando - di 'femmine' sia in Occidente
che nel mondo arabo e l'attitudine individuale del sottoscritto nella gestione
di qualsivoglia rapporto che è sicuramente non propriamente 'conforme' al
'praticantato' ortodosso del credente musulmano ma deriva da una predisposizione
'naturale' a vivere con intensità e comunque a rimettersi sempre in gioco in
ogni circostanza andando oltre qualunque stereotipo 'islamico'. Molti ci
accusano - e non da oggi - di essere musulmani 'atipici'... Ora a parte il fatto
che siamo 'tipicamente' noi stessi e restiamo fedeli alla nostra 'natura' e al
nostro innato egocentrismo che ci permette ogni forma di 'ripartenza' e il
superamento di qualsivoglia ostacolo, ci sarebbe tra l'altro da 'capire' cosa
esattamente significhi l'espressione "musulmano tipico" intesa forse come un
modello-fotocopia del bigotto cristiano occidentale tutto "casa chiesa e
famiglia" che , mutatis mutandis, dovrebbe interpretarsi come un islamico "casa,
moschea e comunità". Un 'gioco' degli 'specchi' degno delle migliori 'allodole'
al quale non abbiamo mai partecipato e che, francamente, non ci 'tenta' ne’ ci
ha mai 'stuzzicato' alcun particolare 'interesse'. E' invece 'nota' la nostra
inclinazione a 'collaudare' antropologicamente i soggetti femminili che
'incrociano' i loro destini con i nostri...diciamo al di là delle circostanze
apparenti o del presunto 'caso' (noi insistiamo a dire che il caso non esiste
quindi niente avviene per 'caso' e tutte le esperienze , positive o negative che
siano, devono rappresentare un momento di svolta e riflessione anche interiore
nonchè di maturazione nella vita di un individuo). Questo è tanto più vero
proprio con le ragazze musulmane incontrate o frequentate in Libano e in altri
paesi e con le quali abbiamo avuto l'opportunità anche di comprendere
dall'interno quest'universo spesso semi-nascosto e comunque tendenzialmente
occulto per i 'profani' occidentali. Diciamo subito che non esistono
fondamentalmente differenze di 'sostanza' tra una donna occidentale ed una donna
musulmana. Anche questa presunta dicotomia è inesistente alla luce della nostra
esperienza libanese dove abbiamo avuto la fortuna e anche l'interesse di
avvicinare ragazze laiche e religiose, musulmane sciite e sunnite ma anche
cristiane e druse. Non esiste alcuna diversità per quanto riguarda la
'percezione' che la donna ha del mondo rispetto all'uomo, la sua sensibilità
rispetto alle situazioni contingenti e terrene, un modus operandi essenzialmente
pratico, una forma mentis più portata all'approccio materiale dei problemi oltre
naturalmente ad un sentimentalismo che è innato nella femmina di 'razza' ma che
si accompagna con una profonda autostima, a dosi abbondanti di cinismo, ad una
naturale predisposizione per l'intrigo, il complotto, la deformazione dei fatti
a proprio vantaggio. Da questo punto di vista occorre allora una distinzione tra
femmine di 'razza' e soggetti femminili 'capovolti' più frequentemente
incontrati nella società occidentale ma non per questo estranei anche al mondo
arabo dove, qualche mese or sono, ci sentimmo ribattere da una nostra 'cara'
amica - musulmana laica, giornalista e vicina al partito comunista libanese -
con quella dose di civetteria e furbizia tipicamente femminile che "sono una
donna e come tale ho il diritto alla mia opinione e a cambiarla ogni volta che
voglio" ovvero l'ammissione della tendenziale volubilità femminile - resa ancor
più evidente in Occidente dalla mancanza di valori e punti di riferimento
'stabili' - e l'inclinazione praticamente naturale nell'istinto della donna a
soggiacere a qualsivoglia 'suggestione' di carattere emotivo. E' chiaro che
esistono poi essenziali distinzioni tra una credente, islamica e non, sia
chiaro, ed una laica: sono diversi gli atteggiamenti, la sensibilità, il
carattere - decisamente meno indeciso e insicuro in una donna che abbia
abbracciato una fede rispetto per esempio ad una sua coetanea 'laica' o atea o
agnostica - e le 'responsabilità' che si assumono nella quotidianità. E' diverso
il modo di percepire il rapporto con la società, con la famiglia, con colleghi e
colleghe di lavoro e inevitabilmente anche nei confronti dell'altro sesso.
Questo ovviamente dovrebbe valere, in linea di massima, anche per i credenti di
sesso maschile. Per quanto invece riguarda la distinzione tra lo stereotipo
coranico della Donna e quello che invece risulta essere il trattamento delle
femmine nelle società impropriamente definite 'islamiche' e che dovrebbero
intendersi come arabe possiamo dire che esiste un abisso tra teoria e pratica,
ideale rappresentazione così come espressa dal Libro Sacro e reale situazione
delle femmine nelle società fortemente laicizzate del mondo arabo (l'Iran
vedremo essere un caso 'a parte' considerando che nella Repubblica Islamica vige
la shariia = legge islamica e i rapporti tra i due sessi sono sostanzialmente
piuttosto 'mediati' e 'controllati' dalle vigenti leggi nazionali iraniane anche
se ovviamente non mancano, sarebbe assurdo pensarlo, le numerose eccezioni
tant'é in Iran abbiamo soggiornato qualche mese nel 1995 e circa due settimane
due anni dopo e non sappiamo lo stato attuale della situazione dopo il vento
'riformista' dell'epoca Khatami e il successivo ritorno al potere di settori
conservatori al seguito dell'attuale presidente Ahmadinejad). Restiamo dunque al
Libano, alla Siria e alla Turchia che conosciamo meglio. Come detto non è
possibile, diciamo pure inutile e assurdo, pretendere di utilizzare lo
stereotipo femminile coranico in società laiche e secolarizzate anche laddove -
è il caso del Libano - esistano comunità religiose ed etniche che hanno fatto
proprio dell'affermazione della loro identità religiosa la base per la
costituzione di autentiche "comunità nella comunità nazionale" come appunto gli
shi'iti libanesi, in particolare quelli collegati ad Hiz'b'Allah che è un
partito confessionale. Ora il problema essenziale dobbiamo dire che è quello
dell'influenza esercitata in queste nazioni dall'Occidente e dai suoi costumi.
Attraverso i mezzi d'informazione, televisione e internet soprattutto, sono
diffusi abbondantemente usi e costumi, musica e cinema "made in Usa" che -
inevitabile che ciò avvenga - hanno prodotto un cambiamento, una trasformazione
e sostanziali modifiche nell'atteggiamento generale e nella mentalità in
particolar modo della gioventù libanese. Gli adolescenti e i giovani shi'iti del
Libano - così come avviene in qualunque altro angolo del pianeta - non hanno
aspirazioni diverse dalla massa dei loro coetanei europei. Usi e costumi possono
ancora ricordare l'appartenenza ad una comunità religiosa ma anche la questione
dell'hejab = il velo delle donne musulmane è qualcosa che appartiene al recente
passato e che ha visto, nei primi anni novanta, il partito di Dio mediare tra
tradizione e modernità lasciando assoluta libertà alle famiglie e alla volontà
delle donne shi'ite di adempiere o meno a questa indicazione coranica. Nessuna
imposizione ne’ obbligo in fatto di costumi. Quest'atteggiamento ha permesso
alla comunità shi'ita di creare una società dove convivono fianco a fianco
differenti modi di vivere la propria religiosità. E non dobbiamo dimenticare di
sottolineare che abbiamo incontrato molte ragazze shi'ite che, pur non portando
il velo islamico, praticavano i principali precetti religiosi. Contraddizioni se
vogliamo ma che fanno parte di un mondo che progressivamente sta evolvendo non
nel senso che intendiamo noi occidentali ma in conformità ad aspetti
determinanti con la propria Tradizione religiosa d'appartenenza che non viene
'scavalcata' per far posto ad un nichilistico vuoto ne’ alle sirene edonistiche
e consumistiche della società materialista occidentale ma si completa ed assume
nuove forme proprio in una sintesi nella quale trovano il loro posizionamento
chador ed hejab da una parte e gonne corte e blue-jeans dall'altra, dabkè (la
musica tradizionale libanese) e rap, cinematografia iraniana e statunitense,
telefonia cellulare d'avanguardia e strumenti informatici da un lato e canti del
muezzin e scuole coraniche dall'altro lato, istintiva predisposizione ad
espatriare in cerca di fortuna e amore per il suolo natio. Difficile descrivere
quindi quale sia il ruolo della donna in una simile società che è dinamica e in
fase di sviluppo anche se possiamo concludere affermando che, nella stragrande
maggioranza dei casi, le ragazze libanesi dimostrano maggiore comprensione del
proprio ruolo nella società rispetto alle loro coetanee italiane che spesso si
perdono nella rivendicazione di una pretesa - e diremmo più che
raggiunta...anche 'superata' - "parità di diritti" dimenticandosi quali siano
poi i loro eventuali doveri. Accampare diritti senza assumersi alcun dovere è
fondamentalmente l'atteggiamento proprio degli individui delle società moderne -
non solo di quelle occidentali - e un 'segno dei tempi' determinante la netta
involuzione degli affari 'sociali'. Una ultima constatazione: la donna musulmana
, praticante intendo, conosce pienamente e 'pretende' anche in modo piuttosto
deciso che le siano riconosciuti i suoi diritti secondo la legislazione
coranica. E non sono "diritti" di poco conto se si considera che la legislazione
coranica prende in esame - soprattutto nella scuola shi'ita duodecimana - e
stabilisce quelli che sono i beni materiali, la dote, i vincoli e qualsivoglia
obbligo del marito nei confronti della moglie all'atto del matrimonio che, si
ricordi, per l'Islam non è affatto un 'sacramento' religioso ma un vero e
proprio "contratto". E se osserviamo le statistiche relative ai
divorzi-separazioni (pari a oltre il 60% dei matrimoni contratti) in Italia
negli ultimi dieci anni ci accorgiamo, con spietata 'puntualità' e un pizzico di
'cinismo' che ci viene dalla nostra 'cronica' condizione di scapoli incalliti,
di quanto sia corretta e precisa la direzione degli affari matrimoniali nella
religione islamica rispetto a quanto avviene in un Occidente più o meno
secolarizzato e più o meno 'cristiano'. Poi ci sarebbe pure la "questione" del "mutha'à"
= il matrimonio a termine o temporaneo ....ma di questo parleremo eventualmente
in un'altra occasione. E' 'meglio'."
[Questo articolo-intervista è stato pubblicato sui giornali Dea Notizie, Caserta24ore, Il Mezzogiorno di Napoli e Caserta, Qui Calabria, Corriere di Aversa e Giugliano, Italia Sociale]